Roma, 1 agosto 2025 – La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha emesso una sentenza destinata a cambiare drasticamente l’assetto giuridico e politico dei centri per migranti in Albania, giudicando illegittima la modalità con cui alcuni Paesi, tra cui l’Italia, designano “Paesi di origine sicuri” senza una verifica effettiva da parte del potere giudiziario.
La sentenza della Corte
Secondo i giudici di Lussemburgo, la designazione di un Paese terzo come “sicuro” può avvenire solo attraverso atti legislativi soggetti a controllo giurisdizionale effettivo. In altre parole, non basta che uno Stato membro decida autonomamente: devono essere rispettati i criteri sostanziali previsti dal diritto dell’Unione, e il rispetto di questi criteri deve poter essere verificato da un giudice.
La Corte UE chiarisce inoltre che nessuno Stato membro può inserire nella lista dei Paesi sicuri uno Stato che non garantisca protezione sufficiente all’intera popolazione. Questa indicazione è particolarmente rilevante per l’Italia, che negli ultimi mesi aveva promosso il trasferimento di migranti nei centri di Schengjin e Gjader in Albania, nell’ambito di un accordo intergovernativo sostenuto politicamente dalla premier Giorgia Meloni.
I ricorsi italiani e la definizione di “Paese sicuro”
La sentenza arriva in risposta a due quesiti pregiudiziali sollevati da giudici italiani, supportati anche da una pronuncia della Cassazione. Il primo quesito chiedeva chiarimenti sul significato stesso di “Paese sicuro”, soprattutto in presenza di zone o categorie di persone particolarmente vulnerabili. Il secondo quesito riguardava l’ammissibilità dell’inserimento nella lista di Paesi in cui si verificano violazioni sistemiche dei diritti fondamentali, tutelati dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo.
Le conseguenze per il governo italiano
L’effetto immediato della decisione è l’impossibilità di trasferire i migranti soccorsi in mare verso i centri albanesi secondo le attuali procedure accelerate di frontiera. La Corte ha confermato la legittimità degli annullamenti dei trattenimenti disposti da vari tribunali italiani, che già da mesi contestavano la compatibilità delle norme italiane con il diritto europeo.
Il governo si ritrova così spiazzato, dopo aver riposto molte speranze in una sentenza favorevole, alimentata anche da precedenti prese di posizione di vari Stati membri. Il progetto italiano, che prevedeva di destinare i centri in Albania a richiedenti asilo provenienti da Paesi “sicuri”, è ora bloccato fino a giugno 2026, data di entrata in vigore del nuovo regolamento UE che potrebbe introdurre eccezioni per alcune categorie vulnerabili. Tuttavia, il legislatore europeo ha la possibilità di anticipare l’entrata in vigore su richiesta dei governi, opzione su cui l’Italia sembra intenzionata a insistere.
Un freno al modello esternalizzato
Questa sentenza segna una battuta d’arresto per l’idea di esternalizzare la gestione dell’asilo fuori dai confini europei, mettendo in luce i limiti giuridici del concetto di Paese sicuro e riaffermando il ruolo centrale del controllo giudiziario. Fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento, ogni tentativo di eludere le garanzie previste per i richiedenti asilo sarà considerato in contrasto con il diritto dell’Unione.
Un colpo duro per il governo, e un monito per tutti gli Stati membri: i diritti fondamentali non si delegano.


