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Naufragi di Ferragosto, il grido di una madre: il Mediterraneo non può più essere un cimitero

Roma, 17 agosto 2025 – Il Mediterraneo continua a restituire immagini che nessun Paese civile dovrebbe più tollerare: bare bianche, famiglie spezzate, dolore che attraversa i porti e le comunità che accolgono i morti. Sul traghetto Las Palmas, da Lampedusa a Porto Empedocle, hanno viaggiato insieme la commozione e la tristezza di un’intera nazione: 23 salme frutto dell’ennesimo naufragio al largo della Libia, tra loro una bambina di 11 mesi.

Non sono solo numeri, ma vite. L’umanità di questa tragedia si concentra nelle parole di una giovane madre somala, sopravvissuta alla furia del mare e alla violenza della storia. Ha perso marito e figlia, e la sua unica richiesta è semplice e terribile: “Voglio che siano seppelliti vicino a me”. Non chiede giustizia, non chiede vendetta. Chiede solo di poter restare accanto alla sua famiglia, anche nella morte.

Intanto i sopravvissuti – 60 persone segnate da traumi fisici e psicologici – vengono assistiti da psicologi e dalla Croce rossa. E con loro altri 259 migranti, scesi dal traghetto con i corpi e le anime distrutti dai lager libici: chi ha perso la vista, chi porta i segni delle torture, chi arriva incinta di pochi mesi e porta dentro di sé una nuova vita, fragile, che già si affaccia nel dolore.

In questa tragedia collettiva, un gesto resta emblematico: i sindaci dell’Agrigentino che aprono i cimiteri dei loro paesi. Da Canicattì a Palma di Montechiaro, da Grotte a Joppolo Giancaxio, i primi cittadini scelgono di trasformare un atto burocratico – la sepoltura – in un gesto di umanità. “Non si tratta solo di un rito civile – ricorda il sindaco Castellino – ma di un segnale che parla al cuore dell’Italia e dell’Europa”.

Ed è proprio qui il punto. Il dramma dei naufragi non può più essere raccontato solo come cronaca di emergenze. È un dovere politico e morale. Non possiamo lasciare che siano solo le ong o le istituzioni locali a custodire la memoria delle vite spezzate. Né possiamo accettare che la sorte di migliaia di persone resti nelle mani di organizzazioni criminali che fanno del mare una rotta di sangue.

Ogni volta che una madre disperata affida la propria bambina a una barca fatiscente, l’Europa intera fallisce. Ogni volta che una comunità italiana accoglie in silenzio un feretro bianco, ci ricorda che il Mediterraneo non è solo un confine: è uno specchio della nostra coscienza collettiva.

È tempo che questo mare torni a essere mare di vita e non di morte. E che il dolore di una madre non sia più necessario per ricordarcelo.

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