in

Consiglio di Stato 1 agosto 2008 Infondato appello presenza reato stupefacenti ostativo permanenza

Consiglio di Stato 1 agosto 2008 Infondato appello in presenza di reato in materia di stupefacenti ostativo permanenza
Consiglio di Stato – VI Sezione – Sentenza n. 3706 del 1 agosto 2008 Il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello presentato da un cittadino peruviano contro il diniego di rinnovo del suo permesso di soggiorno, a causa di una condanna per un reato inerente gli stupefacenti, ostativo alla permanenza nel nostro Paese. Avverso tale diniego il ricorrente aveva proposto ricorso chiedendo l’annullamento dell’atto impugnato ed eccependo a tale riguardo che la sentenza di condanna per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti non appariva di per sé sufficiente, in base della vigente normativa, per valutare la sua pericolosità sociale e che le motivazioni addotte dalla Questura a sostegno del provvedimento di reiezione non sarebbero state dirimenti ai fini del diniego. L’Amministrazione costituitasi, invece, ha ritenuto che il diniego fosse un atto dovuto. Si è, infatti, verificata la condizione della condanna per quel genere di reati che l’articolo 5, comma 4, d.lgs. 286/1998 prevede fra le cause del diniego del permesso di soggiorno (o del suo rinnovo o del suo duplicato).

Nel caso di specie, l’episodio in cui risulta coinvolto l’attuale appellante, per la sua oggettiva gravità (in materia di stupefacenti), appare sufficiente per sorreggere il provvedimento impugnato, trattandosi di pena inflitta per un reato in materia di droga, annoverato dagli artt. 380 e 381, c.p.p., tra quelli ostativi all’accoglimento dell’istanza in questione (cfr. art. 5, comma 5, d.lgs. n. 286/1998, e legge n. 189/2002), senza che il preciso dettato legislativo possa ritenersi in alcun modo intaccato da circolari ministeriali, non vincolanti per il giudice.

In tale prospettiva, l’episodio criminoso che ha determinato la condanna ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, ben poteva essere oggetto di valutazione discrezionale, in confronto ad eventuali altri elementi di giudizio, ai fini della concessione o del diniego di rinnovo, fattispecie in cui la valutazione si svolge, necessariamente, al momento della domanda e si riferisce al pregresso periodo di soggiorno.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.3706/2008
Reg. Dec.
N. 4550 Reg. Ric.
ANNO 2006 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 4550/2006, proposto da:
– Fayardo Yvan Arturo Bruno, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giulio Busetti e Giulio Ippolito ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo, in via Sallustiana n. 26, Roma, appellante;
contro
– il Ministero dell’interno, in persona del Ministro in carica, e la Questura di Trento, in persona del Questore in carica, entrambi non costituiti in giudizio, appellati;
per annullamento e/o riforma, previa sospensione dell’efficacia,
della sentenza del T.r.g.a. Trentino-Alto Adige, Trento, n. 92/2006, resa tra le parti e concernente il provvedimento 2 marzo 2005 del Questore di Trento (recante il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno) ed il successivo rigetto del relativo ricorso giurisdizionale in presenza di un reato ostativo (in materia di stupefacenti).
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Vista la memoria illustrativa depositata dall’appellante;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 27 maggio 2008, il Consigliere Aldo SCOLA;
Uditi, per le parti, l’avv. Giulio Ippolito e l’avvocato dello Stato Stigliano in dichiarata costituzione.
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
F A T T O
Il ricorrente impugnava, dinanzi al T.r.g.a. Trentino-Alto Adige, Trento, il provvedimento di cui in epigrafe, deducendo varie forme di violazione di legge e di eccesso di potere.
Bruno Fajardo Yvan Arturo, cittadino peruviano, agiva per l’annullamento del diniego di rilascio del duplicato del suo permesso di soggiorno – dichiarato smarrito – oppostogli dalla Questura di Trento con provvedimento del 2.3.2005.
Avverso tale provvedimento l’interessato produceva ricorso, formulando una serie di osservazioni giuridiche, dalle quali si desumeva che il provvedimento in parola non sarebbe stato conforme alla vigente disciplina legislativa nazionale.
Si costituiva in giudizio l’amministrazione intimata, tramite l’Avvocatura dello Stato di Trento, contestando la fondatezza dei motivi sopra dedotti e chiedendo  respingersi il ricorso, la cui domanda cautelare veniva respinta dal Tribunale adìto, che poi faceva altrettanto con il gravame di merito, pronunciando una sentenza prontamente impugnata dall’interessato soccombente per varie questioni di incostituzionalità e violazione del comb. disp. artt. 4, comma 3, 5, comma 5, e 13, d.lgs. n. 296/1998.
Il Ministero appellato si costituiva in giudizio e resisteva al gravame, mentre il Fayardo depositava una memoria difensiva.
All’esito della pubblica udienza di discussione la vertenza passava in decisione, dopo il rigetto di un’istanza cautelare con ordinanza n. 2909/2006 della sezione VI di questo Consiglio di Stato.
D I R I T T O
Il ricorso è infondato e va respinto per le ragioni correttamente esposte dai primi giudici e qui condivise e riassunte dal collegio come segue.
Peraltro, prima di affrontare il merito del presente ricorso, appare opportuno delineare brevemente i principi cui si è ispirato il legislatore nel disciplinare l’ingresso e il soggiorno dei cittadini extracomunitari in Italia, in particolare con la legge 6 marzo 1998 n. 40.
Va, innanzitutto, rilevato che la scelta è stata quella di individuare una strada intermedia tra l’apertura incondizionata al flusso migratorio e la chiusura totale, sulla scia di quanto è avvenuto nel corso della storia in quasi tutti i Paesi democratici.
La normativa italiana si ispira conseguentemente al principio del cosiddetto flusso regolato, tendente cioè ad ammettere l’ingresso e il soggiorno degli stranieri nel limite di un numero massimo accoglibile, tale da assicurare loro un adeguato lavoro, mezzi idonei di sostentamento, in una parola un livello minimo di dignità e di diritti, e tra questi, quelli alla casa ed allo studio.
Quale corollario alla decisione di porre un limite all’ingresso dei cittadini extracomunitari, si pone l’obbligo di espulsione per quelli che non sono in regola, sia in relazione all’ingresso, sia al soggiorno.
Due sono i limiti esterni all’impostazione sopra esposta: uno è dato dalle ragioni di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato, per cui, quando sono in gioco tali valori, uno straniero può sempre essere espulso, anche ove si trovi regolarmente in Italia.
L’altro limite, questa volta di segno opposto, è dato da particolari esigenze umanitarie, che consentono una deroga alle norme sull’ingresso; si tratta, infatti, di dare priorità ai principi dei diritti dell’uomo fatti propri dalla Costituzione ed introdotti nell’ordinamento italiano con la ratifica di numerosi accordi internazionali.
Viene in rilievo, in particolare, la tutela della famiglia e dei minori (donde le deroghe all’ingresso per favorire il ricongiungimento familiare), di coloro che si trovano in particolari situazioni di difficoltà (per cui si concede l’asilo per straordinari motivi umanitari, come è avvenuto per gli sfollati dalla ex Jugoslavia), fino a giungere, in caso di persecuzioni dovute a ragioni etniche, religiose o politiche, alla concessione dello status di rifugiato politico.
E’ evidente quindi che, come affermato dalla Corte costituzionale (sentenza 21 novembre 1997 n. 353), le ragioni della solidarietà umana non possono essere sancite al di fuori di un bilanciamento dei valori in gioco: tra questi, vi sono indubbiamente la difesa dei diritti umani, la tutela dei perseguitati ed il diritto di asilo, ma altresì, di non minore rilevanza, il presidio delle frontiere (nazionali e comunitarie), la tutela della sicurezza interna del Paese, la lotta alla criminalità, lo stesso principio di legalità, per cui chi rispetta la legge non può trovarsi in una posizione deteriore rispetto a chi la elude.
Il bilanciamento dei vari interessi in gioco è stato effettuato dal legislatore, che ha graduato le varie situazioni: in alcuni casi, ad esempio, ha disposto l’espulsione dello straniero in via quasi automatica, al semplice verificarsi di determinati presupposti, mentre, in altri, ha ammesso una certa discrezionalità in capo all’amministrazione, nella valutazione e ponderazione dei fatti.
Naturalmente, anche nell’applicazione della normativa sui cittadini extracomunitari trovano ingresso i principi generali dell’ordinamento, in specie quelli regolanti l’attività della p.a., tra cui basterà menzionare quello relativo all’obbligo della motivazione dell’atto amministrativo (più attenuato qualora si tratti di un atto dovuto, più stringente qualora la discrezionalità dell’amministrazione sia più estesa), quello dell’economicità dell’azione amministrativa, per cui determinate irregolarità si considerano sanate qualora l’atto abbia raggiunto il suo scopo, ed infine la potestà dell’amministrazione di revocare in ogni tempo un atto amministrativo ad effetti permanenti, qualora vengano meno i presupposti per la sua concessione.
Nella specie, quanto al comportamento tenuto dall’attuale appellante, i giudizi espressi in sede penale, ivi compresi quelli relativi alla concessione di alcuni benefici, come gli arresti domiciliari, la condizionale ed altri, non hanno rilievo diretto nel giudizio di pericolosità, formulato ai fini del diniego di permesso di soggiorno o della sua revoca, che presenta diversi presupposti e parametri di valutazione e ben può essere retroattivo, limitatamente ai fini amministrativi (come quelli in esame).
In realtà, risulta di intuitiva evidenza (come correttamente hanno ritenuto i primi giudici) che l’episodio criminoso di cui si tratta, a prescindere dalla natura della relativa sentenza (di condanna o patteggiata, che la giurisprudenza amministrativa parifica sempre agli effetti in questione) ed indipendentemente dagli eventuali benefici di legge ivi conseguiti (sospensione condizionale della pena o non menzione della stessa nel certificato penale), costituisce un fatto ostativo ai sensi dell’art. 4, comma 3, d.lgs n. 286/1998, per la concessione della richiesta regolarizzazione del rapporto di lavoro.
Infatti, il relativo riscontro va condotto sulla base dei seguenti criteri: a) necessità di un accertamento oggettivo e non meramente soggettivo degli elementi che giustificano sospetti e presunzioni; b) attualità della pericolosità; c) necessità di esaminare globalmente l’intera personalità del soggetto risultante da tutte le manifestazioni sociali della sua vita; d) insindacabilità dei giudizi discrezionali dell’amministrazione, se non per macroscopiche illogicità; e) indipendenza dai giudizi penali, ma possibilità di tener conto dei fatti emersi in detti giudizi, anche in virtù di una normativa entrata in vigore dopo le vicende penali de quibus.
Nel caso in esame, l’episodio in cui risulta coinvolto l’attuale appellante, per la sua oggettiva gravità (in materia di stupefacenti), appare sufficiente per sorreggere il provvedimento impugnato, trattandosi di pena inflitta per un reato in materia di droga, annoverato dagli artt. 380 e 381, c.p.p., tra quelli ostativi all’accoglimento dell’istanza in questione (cfr. art. 5, comma 5, d.lgs. n. 286/1998, e legge n. 189/2002), senza che il preciso dettato legislativo possa ritenersi in alcun modo intaccato da circolari ministeriali, non vincolanti per il giudice.
In tale prospettiva, l’episodio criminoso che ha determinato la condanna ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, ben poteva essere oggetto di valutazione discrezionale, in confronto ad eventuali altri elementi di giudizio, ai fini della concessione o del diniego di rinnovo, fattispecie in cui la valutazione si svolge, necessariamente, al momento della domanda e si riferisce al pregresso periodo di soggiorno.
Bruno Fajardo Yvan Arturo aveva proposto ricorso, chiedendo l’annullamento dell’atto impugnato ed eccependo a tale riguardo che la sentenza di condanna per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti non appariva di per sé sufficiente, in base della vigente normativa, per valutare la sua pericolosità sociale e che le motivazioni addotte dalla Questura a sostegno del provvedimento di reiezione non sarebbero state dirimenti ai fini del diniego.
Al riguardo si osserva che dalla parte motiva dell’atto impugnato emergeva chiaramente come il rigetto fosse, in effetti, dovuto al fatto che il ricorrente era stato oggetto di condanna con sentenza n. 457/2004 resa in data 20.2.2004, per il delitto di cui agli artt. 62-bis, c.p., e 73, t.u. n. 309/1990.
Dunque, la riscontrata presenza di condanna penale a carico dell’istante, nella specie pronunciata dal Tribunale di Verona per il reato di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti e divenuta irrevocabile in data 7.4.2004, si appalesa dirimente ai fini del diniego.
Si è, infatti, verificata la condizione della condanna per quel genere di reati che l’articolo 5, comma 4, d.lgs. 286/1998, come modificato dalla legge n. 189/2002, facendo riferimento ai requisiti soggettivi dello straniero stabiliti dalle disposizioni regolanti la materia dell’immigrazione, prevede fra le cause del diniego del permesso di soggiorno (o del suo rinnovo o del suo duplicato), cosicché il provvedimento avversato, in realtà, costituiva per l’Autorità procedente un atto dovuto.
In definitiva, non può dunque fondatamente sostenersi l’illegittimità dell’atto impugnato, anche in relazione al fatto che (alla stregua delle osservazioni sopra formulate) si appalesano irrilevanti le lamentate violazioni dei principi costituzionali a tutela dell’uguaglianza e della persona.
Del resto, la Corte costituzionale, con ordinanza n. 9 dell’11-14 gennaio 2005, ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 13, 16 e 29 e ss. della Costituzione, dal TAR Lombardia, Sezione di Brescia (con le ordinanze 15.05.2003 e 25.08.2003 in fattispecie analoga a quella oggetto di impugnazione), sul rilievo che “le censure mosse dal Giudice a quo per fare valere l’illegittimità costituzionale attengono alle conseguenze che potrebbero subire gli interessati in relazione alla loro successiva espulsione dal territorio nazionale, di cui non si controverte nei giudizi a quibus, aventi per oggetto il rinnovo dei permessi di soggiorno”.
Proprio in relazione a tale sopravvenuta sentenza, la situazione presa in esame dalla Questura ai fini dell’adozione del provvedimento impugnato era sostanzialmente connessa all’accertamento della responsabilità del ricorrente per un reato in materia di stupefacenti, di per sé idoneo, in relazione all’obiettiva gravità dei fatti addebitati all’attuale appellante, a sostenere la valutazione di pericolosità sociale di cui al provvedimento questorile impugnato.
In tale ottica può essere sufficiente una condanna, anche non definitiva, per reati di rilevante allarme sociale quali sono appunto quelli relativi agli stupefacenti (cfr. C.d.S., sezione IV, dec. 10 febbraio 2000 n. 714).
 L’appello va, dunque, respinto, con conferma dell’impugnata sentenza, mentre le spese del giudizio di seconda istanza possono integralmente compensarsi, per giusti motivi, tra le parti in causa, tenuto anche conto del loro reciproco impegno difensivo e della natura della vertenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta,
respinge l’appello;
compensa spese ed onorari del giudizio di secondo grado.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, Palazzo Spada, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio del 27 maggio 2008, con l’intervento dei signori magistrati:
Claudio  VARRONE    Presidente
Carmine  VOLPE    Consigliere
Luciano BARRA CARACCIOLO  Consigliere
Aldo    SCOLA    Consigliere relatore estensore
Roberto CHIEPPA    Consigliere

Presidente
Claudio Varrone

Consigliere       Segretario

Aldo Scola      Stefania Martines

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il…..28/07/2008
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
Maria Rita Oliva

 

CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)

Addì……………………………..copia conforme alla presente è stata trasmessa

al Ministero………………………………………

a norma dell’art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642

    Il Direttore della Segreteria

Clicca per votare questo articolo!
[Totale: 0 Media: 0]

SICUREZZA: LAMPEDUSA; ARRIVANO AVIERI IN CENTRO IMMIGRATI

La Chiesa: “Noi in prima linea sull’immigrazione”