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Albania, il deserto dei centri per migranti: “Qui è come essere condannati”

Roma, 31 ottobre 2025 – Nella base militare riconvertita in Cpr regna il silenzio. Su 830 posti, solo 25 sono occupati. A un anno dall’avvio dell’“operazione Albania” voluta da Giorgia Meloni, il bilancio è impietoso: l’hotspot di Shëngjin è abbandonato, Gjadër è quasi vuoto, e i costi restano altissimi.

Un’ispezione a sorpresa dei parlamentari Rachele Scarpa, Matteo Orfini e Riccardo Magi ha mostrato una struttura spettrale. Molti detenuti non sanno neanche di trovarsi in Albania. «Mi hanno soccorso vicino alla Sardegna e portato qui senza spiegazioni», racconta Belem, algerino. Ahmed, muratore marocchino, dice di aver ingoiato una lametta appena arrivato. Khalid, siriano, aggiunge: «Qui è peggio del 41 bis. Siamo murati vivi».

Negli ultimi dodici mesi si sono registrati 75 episodi critici tra autolesionismi e scioperi della fame. Secondo i parlamentari, il 70% dei trattenimenti non viene convalidato e molti migranti tornano in Italia. I rimpatri reali sarebbero solo una quarantina.

«Un’enorme sofferenza e uno spreco di denaro», denuncia Scarpa. «Il Viminale mantiene una cortina di silenzio», aggiunge Orfini. Per Magi, «i centri in Albania non funzionano: sono la prova che la propaganda costa, e questa costa più di un milione per migrante».

Gjadër, con i suoi cancelli blindati e le celle semivuote, resta il simbolo di una politica che prometteva efficienza e controllo, ma ha prodotto solo vuoto, isolamento e spreco.

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