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Croati nell’Ue. Restrizioni per i lavoratori in Italia, ma non per tutti

Dal primo luglio assunzioni libere per domestici, stagionali, infermieri e altri lavoratori qualificati. Casucci (Uil): “Meglio aprire a tutti, si evita il sommerso”

Roma – 26 giugno 2013 – Cittadini europei come gli altri, ma con meno diritti se cercano lavoro.

È il destino che attende in Italia i croati dal primo luglio 2013, quando il loro Paese diventerà il 28esimo membro dell’Unione Europea. Perché, come era già successo in passato per i polacchi e i romeni, e sfruttando una possibilità prevista dai trattati di adesione, il nostro governo ha deciso di applicare restrizioni temporanee per l’accesso al mercato del lavoro, anche se non in tutti i settori.

Questo doppio binario, suggerito al presidente del Consiglio Enrico Letta dalla direzione immigrazione del ministero del Lavoro, d’intesa con il viceministro Maria Cecilia Guerra, prevede che da lunedì prossimo i cittadini croati in Italia potranno essere assunti liberamente, come se fossero italiani, se sono:

– lavoratori domestici (colf, badanti, babysitter ecc.)
– lavoratori stagionali dei settori agricoltura e turismo per uno o più rapporti di lavoro che nell’insieme non superino la durata massima di nove mesi
– Infermieri professionali, dirigenti, sportivi professionisti, circensi, marittimi, artisti, ballerini, musicisti o altri lavoratori elencati nell’articolo 27 comma 1 del d.lgsl. 289/1998 (testo unico sull’Immigrazione), esclusi docenti universitari, interpreti e traduttori.
– Ricercatori
– Lavoratori altamente qualificati

In tutti gli altri casi, “alla luce della situazione congiunturale del mercato del lavoro italiano” e delle “criticità evidenziate all'interno di alcune Regioni”, il ministero del lavoro ha proposto “di non procedere alla liberalizzazione in favore dei cittadini croati, mantenendo in via transitoria il regime attualmente vigente”. I lavoratori croati verranno insomma considerati ancora stranieri e quindi, presumibilmente, dovranno vedersela ancora con i tetti di un decreto flussi.

Il "no" di Zaia (Veneto) e le aperture dei sindacati

Le Regioni alle quali si fa riferimento sono probabilmente Lombardia e Veneto, i cui governi hanno chiesto le restrizioni, mentre questa indicazione non è arrivata dal Friuli Venezia Giulia, che pure con la Croazia confina.

In particolare, il presidente del Veneto Luca Zaia, qualche settimana fa aveva scritto a Letta paventando un' invasione: “A un'ora e mezza di strada e a poche decine di miglia marittime esiste una massa di lavoratori per i quali diventeremmo d'improvviso il principale mercato del lavoro. Con 170 mila disoccupati non possiamo permetterci di introdurre un altro elemento di distorsione sul mercato del lavoro e sull'economia veneta in generale”.

Una vittoria monca, quella del governatore leghsita, visto che rimane senza restrizioni il settore stagionale, che era uno di quelli dove la sua amministrazione vedeva un alto rischio di concorrenza con i disoccupati veneti. Da Venezia, su questo fronte, annunciano ancora battaglia, ma chissà con quali speranze, visto che mancano pochi giorni al primo luglio e la decisione sembra ormai definitiva.

I sindacati erano invece contrari alle restrizioni, considerate inutili, inefficaci e generatrici di lavoro sommerso, come hanno spiegato Cgil, Cisl e Uil in un appello congiunto. Perlomeno hanno ottenuto la liberalizzazione in settori dove c’è forte richiesta di manodopera immigrata come quello domestico o stagionale.

“Avremo preferito una liberalizzazione totale. Non crediamo che l’allargamento dell’Ue danneggerà l’Italia con un’invasione di lavoratori croati” conferma a Stranieriinitalia.it Giuseppe Casucci, coordinatore nazionale immigrazione della Uil. “Dal momento che c’è la libertà di circolazione, chi vuole venire a lavorare in Italia lo farà ugualmente, ma in nero. E per chi già fa avanti e indietro, come frontaliero, cambierà poco. Con le restrizioni i datori avranno solo un alibi in più per non fare un regolare contratto di lavoro”.

Elvio Pasca

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