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Immigrati. Il Cardinale Tettamanzi: “Non c’è giustizia senza carità”

"La solidarietà ci porta a rifiutare la loro esclusione e ad optare per la loro inclusione" Milano, 12 aprile 2010 – "Nella visione cristiana, la giustizia per essere pienamente se stessa ha bisogno dell’ispirazione e dell’energia della carità".

E’ quanto sostiene l’arcivescovo di Milano, Cardinale Dionigi Tettamanzi, durante la conferenza organizzativa programmatica delle Acli tenutasi a Milano.

Il termine di carita’, sottolinea il cardinale "poi, fa piena luce su quello di ‘fraternita”: da intendersi – spiega – non in chiave genericamente filantropica, bensi’ in chiave propriamente cristiana, teologale".

L’arcivescovo di Milano sottolinea poi che "quanto agli immigrati la riflessione sulla solidarietà ci porta a rifiutare la loro ‘esclusione’ e ad optare per la loro ‘inclusione’. L’esclusione contraddice il valore e l’istanza della relazionalita’ come dato costitutivo essenziale e come irrinunciabile dinamica della persona. In tal senso – precisa – l’esclusione non colpisce soltanto chi viene escluso, l’immigrato, ma insieme colpisce, danneggia e mortifica nella sua umanita’ chi esclude".

"Certo – prosegue il cardinale di Milano – il problema immigratorio nei suoi molteplici aspetti si configura spesso come quanto mai complesso e difficile, ma non puo’ essere risolto correttamente se si prescinde dalla riflessione ora accennata. La risposta al problema passa il piu’ delle volte attraverso una formula ormai di uso corrente: occorre, si dice, conciliare la legalita’/sicurezza e l’accoglienza.

Penso che questa formula esiga di essere sottoposta ad una piu’ attenta autocritica". Tettamanzi si domanda come esempio "che cosa si intende per legalita’? Una legge ‘positiva’? Ma quale? (infatti possono essere differenti le leggi positive). E non c’e’ un’altra legge, la ‘legge naturale’ scritta nel cuore di ogni uomo e donna, che e’ posta a fondamento e a garanzia delle leggi positive, chiamate ad essere ‘vere’, ‘giuste’.

E ancora: perche’ la sicurezza viene solitamente accostata solo alla legalita’? Non c’e’ forse una sicurezza non meno importante che puo’ essere legata anche dal tipo di accoglienza, un’accoglienza che superi il rischio di dar vita a nuove forme di ‘ghetto’?". E di nuovo: "l’accoglienza – osserva l’arcivescovo – e’ da intendersi in senso ‘passivo’ come un semplice aprire i confini o i paesi o le braccia? O non piuttosto in senso ‘attivo’ come un impegnarsi in un cammino di integrazione? Non posso tralasciare il punto che da mesi ho ritenuto di dover sottolineare con forza come conditio sine qua non della solidarieta’: a questa si arriva solo attraverso la strada della sobrietà".

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