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Lo slogan retorico (e inutile) delle espulsioni facili

Ci si è mai interrogati sulla reale fattibilità (oltre che legalità) dell’espulsione di massa? Meglio sarebbe pensare a forme concrete di integrazione

 

Roma, 5 gennaio 2016 – Sia detto senza retorica: è facile sproloquiare di governo della pressione migratoria. Lo è molto meno riuscire a trovare soluzioni efficaci e non discriminatorie nei confronti di chi cerca aiuto: sia esso un migrante economico che scappa dalla miseria, o un rifugiato che fugge dalla guerra. Negli ultimi due anni sono sbarcati sulle nostre coste oltre 325 mila persone, la metà delle quali non aveva i requisiti per ottenere il diritto all’asilo od alla protezione umanitaria, provenendo da Paesi non coinvolti da conflitti o non potendo documentare persecuzioni personali (non che questo sia sempre facile). 

Il fiume umano era dunque, in parte composto da gente in fuga dalle guerre, mentre l’altra metà fuggiva dalla povertà. Bisogna anche dire che di quella cifra record, solo un terzo è stato preso in carico dal nostro sistema di accoglienza.

A livello europeo il 2015 ha portato alti livelli di afflussi umanitari, soprattutto  attraverso la rotta dei Balcani: circa 1,1 milioni di persone (potenziali profughi o altro) sono entrati l’anno scorso nel territorio dell’Unione, causando reazioni molto discutibili da parte di alcuni Paesi: come l’Ungheria, la Bulgaria e la Grecia che hanno costruito barriere ai propri confini, per contenere la pressione migratoria. Ma anche come la Francia e l’Austria che hanno ripristinato nel 2015 i controlli alle proprie frontiere. Il 2016 si apre all’insegna di nuovi arrivi e di scarse risposte in termini di buona gestione. Una risposta di segno contrario viene in questi giorni da Svezia e Danimarca che hanno di fatto sospeso Schengen, ripristinando anche loro i controlli alle frontiere: la Svezia con la Danimarca e quest’ultima con la vicina Germania. 

La reazione all’enorme sconvolgimento prodotto dalle guerre in Siria ed in Iraq dunque, non è il rispetto del diritto d’asilo ed alla protezione umanitaria, ma il rinchiudersi all’interno del proprio Stato nazionale scaricando sugli altri l’onere di fronteggiare migranti e rifugiati. L’accusa – non tanto velata – è a Grecia ed Italia che sarebbero incapaci di garantire le frontiere esterne dell’Unione contenendo migranti e rifugiati. Questo darebbe adito agli Stati del Nord Europa a dover procedere a misure di limitazione del movimento delle persone: una scelta comunque grave che non mancherà di avere conseguenze negative sul processo di integrazione della UE.  L’altro segnale proveniente da Bruxelles parla un linguaggio “securitario”, con chiaro invito alle espulsioni e rimpatri coatti degli irregolari. Sempre di più si parla della necessità (ed urgenza) di espellere chi non ha i requisiti per l’asilo. 

Questo ha portato subito a delle nefaste conseguenze. Secondo l’organizzazione umanitaria Medici Senza Frontiere, negli hotspot (centri di identificazione per rifugiati e migranti) funzionanti al Sud Italia si discriminerebbero gli arrivati solo sulla base del Paese di provenienza. Questo, senza procedere ad un’indagine sulla storia personale del malcapitato, come previsto dalla legge. Una violazione, dunque dei diritti individuali della persona che porta alla successiva scelta ipocrita di un invito formale a lasciare il paese: invito che non verrà quasi mai osservato.  

Ci si è mai interrogati poi sulla reale fattibilità (oltre che legalità) dell’espulsione di massa, strumento proibito dalla normativa internazionale? Rimpatri effettivi comportano accordi con i Paesi di provenienza ed un grande costo finanziario.

Negli ultimi quindici anni, i paesi europei hanno speso circa 11,3 miliardi di euro per espellere i migranti irregolari e 1,6 miliardi per rafforzare i controlli alle frontiere. L’hanno calcolato i giornalisti dei Migrants files, un collettivo internazionale di venti cronisti, statistici ed esperti. Migrants files ha anche avvertito che questi dati sono sottostimati. I diversi paesi europei non hanno una normativa comune per i rimpatri e non c’è trasparenza sui costi sostenuti dagli stati per questo tipo di sistema. La conclusione del collettivo di giornalisti è che sarebbe costato molto meno integrare le persone che in gran parte non si è riusciti ad espellere.

In effetti, la linea dura dei rimpatri forzati è più facile a dirsi che non a farsi. In Italia, dati aggiornati al 31 luglio 2015, ci sarebbero state 8497 espulsioni, «su un totale di 18.068» irregolari. I dati sono del Viminale. Espulsi non vuol dire però rimpatriati. Il provvedimento di “espulsione” non coincide con il provvedimento di rimpatrio.  Tra il 2014 ed il 2015 sono entrati in Italia, attraverso gli sbarchi, 325 mila persone. Centomila sono state accolte nei centri e poche centinaia sono state espulse. Che ne è stato degli altri? 

Come si può facilmente capire, i proclami sulle espulsioni finiscono per assomigliare alla leggenda secondo cui Sant’Agostino avrebbe incontrato un bambino sulla spiaggia intento a svuotare l’oceano con un secchiello

La gestione europea dell’immigrazione, dunque ha segnato decisamente il passo: il cosiddetto “outplacement” di 155 mila migranti  deciso a Bruxelles nel settembre scorso, ha portato alla cifra ridicola di circa 200 persone  per ora ricollocate; mentre l’incapacità dell’Unione di agire in quanto tale per affrontare l’emergenza umanitaria sta portando al collasso dei principi basilari del trattato dell’Unione sulla libera circolazione delle persone. 

Lo stesso è relativo alle cause che hanno prodotto l’esodo di massa specialmente dalla Siria: la guerra civile. Si parla tanto della necessità di andare alla radice della fuga di massa, ma anche su questo piano la UE si è rivelata incapace di una proposta complessiva di dialogo tra le parti in conflitto, riducendosi a subire l’iniziativa delle grandi potenze.

Ma prendersela con le vittime (i rifugiati, i migranti) non è una scelta giusta, né sul piano etico, né su quello della gestione dell’immigrazione. 

Meglio sarebbe andare oltre facili slogan e pensare a forme concrete di integrazione, prima che la presenza di migliaia di sbandati sul territorio europeo produca danni al mercato del lavoro esistente e soprattutto forme gravi di insofferenza e razzismo da parte della popolazione.

La Confederazione  Europea dei sindacati, ha proposto di adottare la direttiva 2001/55/CE, la quale prevede la concessione di un permesso temporaneo umanitario in caso di grandi afflussi di persone, permesso conferibile anche ai migranti economici. Questo metterebbe fine al rifiuto dei profughi a farsi identificare ed inoltre permetterebbe loro di cercarsi un lavoro regolare, senza doversi affidare alla trappola senza uscita dell’economia sommersa, gravida di gravi episodi di sfruttamento estremo.

La UIL appoggia questa proposta ed invita la UE ad affrontare il problema umanitario attraverso strumenti sovranazionali di governo  dell’immigrazione, cominciando con una profonda revisione del Regolamento di Dublino III. L’alternativa sarebbe il rinchiudersi dei 28 Stati membri all’interno della propria sovranità nazionale, con gravi rischi per il futuro dell’Unione stessa.

Giuseppe Casucci, Coordinatore Nazionale UIL – Dipartimento Politiche Migratorie 

 

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