in

Ocse: “Immigrazione risente della crisi, ma rimane indispensabile”

“Concentrarsi sulle esigenze di lungo periodo del mercato del lavoro, sulle competenze e sull’integrazione”. Presentato il 2012 Migration Outlook

 

27 giugno 2012 – Le migrazioni internazionali verso i Paesi dell’Ocse sono diminuite per il terzo anno consecutivo nel 2010, facendo registrare, con 4,1 milioni di ingressi, un calo del 2,5%. Negli Usa il calo è stato dell’8%, nei Paesi europei del 3%, mentre è cresciuta oltre il 10% quella verso Canada, Corea e Messico.

È quanto si legge nel 2012 Migration Outlook, presentato oggi dall’Ocse. Secondo il rapporto dell’organizzazione, che riunisce 34 Paesi sviluppati democratici e con economia di mercato, i dati nazionali recenti suggeriscono però che i flussi hanno ricominciato a salire nel 2011 negli Strati Uniti, in Australia, Nuova Zelanda e nella maggiorparte dei paesi europei, con l’eccezione di Italia, Spagna e Svezia.

“Gli sviluppi del mercato del lavoro e i flussi migratori sono strettamente legati. Il declino della domanda di lavoratori è il fattore principale per la caduta dell’immigrazione durante la crisi, non le restrizioni imposte dalle politiche migratorie, come dimostra il 2012 Migration Outlook” ha detto il segretario generale  dell’Ocse Angel Gurría, presentando il rapporto a Bruxelles, insieme al commissario europeo per il lavoro László Andor e al commissario agli affari interni Cecilia Malmström.

“I Paesi – ha aggiunto – dovrebbero prestare più attenzione alle esigenze a lungo termine dei loro mercati del lavoro, concentrarsi sulle competenze e definire politiche per l’integrazione degli immigrati, in particolare dei giovani, le competenze dei quali saranno necessarie quando l’economia globale si riprenderà”.

La crisi dell’occupazione sta aumentando il rischio di marginalizzazione per gli immigrati. Tra il 2008 e il 2011, il numero di giovani che nè lavorano, nè studiano è cresciuto soprattutto tra i migranti, segnala l’Ocse. In molti Paesi i giovani immigrati hanno perso lavori part-time o temporanei più spesso degli autoctoni o degli immigrati adulti. La disoccupazione di lungo periodo è cresciuta soprattutto tra gli immigrati, specialmente in Europa.

Il rapporto sottolinea però quanto sia ancora necessaria l’immigrazione. Nel decennio passato, i nuovi immigrati hanno coperto il 70% della crescita della forza lavoro in Europa, e il 47% negli Usa. Questo ruolo positivo dell’immigrazione diventa  ancora più importante ora che i babyboomers stanno andando in pensione. Da qui al 2015, se rimarrà ai livelli attuali, l’immigrazione no riuscirà infatti a coprire tutto il calo della popolazione in età lavorativa nei Paesi Ocse, soprattutto nell’Ue.

Tra i migranti verso i Paesi Ocse aumentano quelli provenienti dall’Asia, con una quota salita dal 27% del  2000 al 31% del 2010, con i cinesi che rappresentano circa il 10%. Da Cina e India arrivano anche il 25% degli studenti internazionali. Sul lungo termine, mentre l’Asia cresce e offre lavori più attraenti e attrae lavoratori più qualificati dall’estero, i paesi Ocse saranno meno capaci di fare affidamento su questo flusso di lavoratori qualificati.

Il report elenca anche le politiche di migrazione e integrazione che possono aiutare i mercati del lavoro a funzionare meglio:
–    Usare meglio le capacità dei migranti che già vivono nei Paesi per venire inncotro alla domanda di lavoratori qualificati
–    Rafforzare gli sforzi di integrazione per alcuni gruppi a rischio. I giovani migranti con poche qualifiche accumulano svantaggi e sono a più alto rischio di disoccupazione di lungo periodo
–    Usare cautela nel recruitment internazionale per i settori dove l’occupazione è fortemente ciclica
–    Mantenere canali di migrazione per i settori che continuano a mostrare fabbisogno di manodopera, soprattutto nell’attuale mercato del lavoro stagnante

Scarica
2012 Migration Outlook  (Sintesi in Italiano)

La scheda sull’Italia

Clicca per votare questo articolo!
[Totale: 0 Media: 0]

Permesso di almeno un anno per i disoccupati. Sì definitivo

Francia: “No a regolarizzazioni di massa”