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Razzismo. Venezia, respinta al colloquio di lavoro perchè nera

Roma, 8 ottobre 2018 – Laura è una ragazza italiana che presenta i suoi “curricula” in giro, alla ricerca di un lavoro. Come tante altre ragazze. Dopo aver concordato un appuntamento con un signore per un posto come cameriera nel suo ristorante, Laura si reca a Venezia. Alla vista della ragazza, il signore inorridisce, deluso. Laura è nera. Il signore non vuole personale “di colore” nel suo locale perché sostiene che i suoi clienti non apprezzerebbero. Lo dice alla ragazza in modo sfacciato, inequivocabile, convinto, compiaciuto.

Quasi sicuramente è quel tipo di commerciante che, giorno dopo giorno, con gli anni, ha imparato quanto sia importante adulare in modo signorile i propri avventori, uno che ha imparato a conoscere a proprie “spese” il valore di ogni parola sussurrata, o urlata nel suo locale, di un ammiccamento, di uno sguardo o del silenzio. Ma cosa o chi ha pensato di trovare davanti a sé.

Per sentirsi legittimato ad esercitare una violenza così brutale nei confronti di una ragazza che aveva chiesto di poter lavorare e che egli stesso aveva deciso di convocare. Improvvisamente è sparito tutto. Sparisce per Laura la disponibilità manifestata al telefono e sparisce per il ristoratore la previsione che la ragazza possa verosimilmente essere ciò che egli stesso andava cercando in termini di efficienza professionale.

Cosa ha spazzato via tutto questo? Il colore nero. L’uomo, un italiano bianco che vede “quel colore nero”, non una ragazza qualsiasi ma una presenza abusabile, inferiore, minacciosa verso l’ordine sociale e culturale del suo paese, un ordine sociale ben rappresentato dal rifiuto del cliente ideale a vedere una cameriera nera. Il rifiuto del cliente come paradigma esistenziale.

Davvero esistono così tante persone con questa ripugnanza così radicata verso una ragazza nera che serve ai tavoli di un locale? E se anche fosse, sarebbe lecito? Non è piuttosto naturale pensare che sia questo proprietario del locale, egli stesso, l’autentico cliente ideale sul quale ha proiettato tutto il suo orrore razzista e che non intende disonorare?
Perché quando le persone parlano del razzismo degli altri non sembrano mai consapevoli che stanno parlando invece del proprio? Al punto tale da voler far passare una brutale discriminazione per un evento pacificamente accettabile?

La legge Mancino condanna la discriminazione per motivi razziali. Se ci sono leggi, convenzioni con le finalità di tutelare chi viene offeso per motivi che attengono al colore della sua pelle, significa che esiste una modalità di rifiuto e di esclusione di determinate persone dal godimento di diritti e libertà fondamentali e non. Il “nero” dunque non è semplicemente un colore, non è un eccesso di melanina, non è una diversità estetica ma è un eccezionale simbolo di giustizia, riconoscimento e rivendicazione in un contesto dominato da “altri”. Un pregiudizio paternalista sostiene l’inesistenza della differenza: “siamo tutti uguali” o il pessimo “il colore non esiste”.

È ovvio che la persona nera o mista in un sistema sociale a maggioranza bianca o governato dai bianchi non possa ragionevolmente avere un vissuto o una percezione della realtà simile alla persona bianca. “La nostra vita si restringe o si espande in proporzione alla nostra paura o al nostro coraggio” (Anais Nin). Questo ci attende, forse da sempre. A noi, neri, viene richiesto molto coraggio. È la vita stessa che ce lo chiede, in continuazione e non solo per essere qui, lontano dai nostri paesi di origine.

Chissà se a Laura, la vittima di questo grave evento razzista sia stato sufficiente aver ricevuto la solidarietà dei suoi amici su Facebook. O se pubblicando il suo video di denuncia, abbia non intenzionalmente seminato dentro di sé un terreno idoneo ad accogliere il senso profondo e antico delle proprie origini. Anche attraverso un’esperienza così dolorosa può succedere di comprendere il valore dell’appartenenza e del riconoscimento.

Ho consigliato a Laura di denunciare il suo violentatore morale e chiedere un risarcimento per il danno psicofisico riportato. Se Laura italiana o straniera comunque nera è un essere appartenente alla comunità civile come tutti gli esseri umani integrati o disadattati – ha pieno diritto che venga riconosciuta la discriminazione razzista e inflitta la sanzione verso chi l’ha umiliata.

Spero che possa un giorno smetterla di dire che si vergogna del colore della sua pelle a causa degli innumerevoli rifiuti che le sono accaduti. Spero che non debba più appellarsi al fatto di avere dei genitori bianchi per convincere la gente di essere italiana e “per bene”. Che possa invece rimanere consapevole del valore più bello e importante della vita, il senso della giustizia e accetti di esserne sempre testimone, dura e implacabile come una vera splendida sorella nera.

Paola Filomena

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