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Souad Sbai: “Mi hanno avvelenata”

La denuncia della deputata del Pdl dopo un anno di sofferenza. L’ombra degli integralisti islamici

Roma – 5 marzo 2010 – Avvelenamento. È la diagnosi fatta a  Souad Sbai, deputata del Pdl in prima linea per un islam moderato e i diritti delle immigrate, che ha presentato a metà febbraio una denuncia contro ignoti per la quale sta indagando la Procura della Repubblica di Roma.

“Non posso entrare nei particolari, c’è un’indagine in corso” ci dice al telefono, ma la notizia oggi è apparsa su Libero e accetta quindi di ricostruire i passaggi principlai della vicenda. È molto provata, all’alba era di nuovo al Pronto Soccorso, vittima di una delle crisi che scandiscono ormai la sua vita da oltre un anno.

Tutto è iniziato nel dicembre del 2008, durante una festa al centro culturale Averroè a Roma. Sbai, che è tra i fondatori del centro, assaggia una cucchiaiata di cous cous poi corre alla Camera per una votazione. “In Aula – racconta – mi sono sentita male, avevo la nausea, il batticuore e sudavo. Dall’infermeria mi hanno trasportato al Gemelli”.

Rimane quattro giorni in ospedale. All’inizio si pensa a un’intossicazione alimentare, ma la diagnosi cade di fronte ai sintomi dei mesi successivi. Il più grave è una restrizione dell’esofago che le impedisce di assumere cibi solidi, le provoca dolori lancinanti, e l’ha già costretta a sottoporsi a due interventi chirurgici. “Nessuno degli specialisti che ho consultato in Italia è riuscito a darmi una diagnosi convincente, quindi a gennaio sono andata negli Stati  Uniti”.

È a New York che l’esperto di medicina tropicale Kevin M. Cahill e il tossicologo Lewis Goldfank avanzano l’ipotesi di un avvelenamento per ingerimento di “cristalli di acido solforico, idrossido di sodio o acido idrocloridico”. “Sostanze insapore e inodore, già utilizzate in passato dagli integralisti pakistani” chiosa Sbai, secondo la quale qualcuno avrebbe mescolate al suo cous cous: “Se lo avessi mangiato tutto sarei già morta”.

I sospetti della deputata si addensano sull’area del radicalismo islamico, che l’ha già minacciata più volte. Quel giorno al Centro Averroè, nonostante le misure di protezione, sarebbe riuscito ad arrivarle molto vicino: “Ma io vado avanti, quanto è successo mi spinge a battermi ancora con più forza per un islam sano e per i diritti delle donne. Credo nella giustizia, sono sicura che troveranno e puniranno i colpevoli”.

Elvio Pasca

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