Roma, 3 luglio 2025 – La Corte Costituzionale ha lanciato un monito chiaro al legislatore: la normativa sul trattenimento dei migranti nei Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) presenta un vuoto giuridico inaccettabile. Con la sentenza n. 96, depositata e firmata dal presidente Giovanni Amoroso, la Consulta ha evidenziato che l’attuale disciplina non garantisce il rispetto della riserva di legge prevista dall’articolo 13 della Costituzione, che tutela la libertà personale.
Le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal giudice di pace di Roma in merito all’articolo 14 del decreto legislativo 286/1998, sono state dichiarate inammissibili, ma la Corte ha colto l’occasione per sottolineare un “vulnus normativo” grave: la normativa non stabilisce con chiarezza i modi della restrizione della libertà nei Cpr, né i diritti fondamentali di chi vi è trattenuto, lasciando tali aspetti a norme regolamentari e decisioni amministrative.
Secondo i giudici costituzionali, il trattenimento in questi centri costituisce un “assoggettamento fisico all’altrui potere”, dunque incide direttamente sulla libertà personale. In assenza di garanzie normative primarie – come quelle previste per i detenuti nelle carceri ordinarie – i diritti delle persone trattenute risultano privi di tutele effettive. La Corte ha così invitato il Parlamento a intervenire con urgenza per colmare il vuoto legislativo, riaffermando che la libertà personale può essere limitata solo in forza di una legge e con precisi standard di tutela giurisdizionale.
Nella stessa tornata di decisioni, la Consulta si è espressa anche sull’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, stabilendo che l’eliminazione della norma non contrasta con obblighi internazionali. Le motivazioni, depositate oggi, chiariscono che dalla Convenzione di Merida non discende alcun obbligo per gli Stati aderenti di prevedere tale fattispecie penale. Di conseguenza, l’abrogazione del reato operata con la legge n. 114/2024 non è illegittima, come già anticipato lo scorso 8 maggio.
Le questioni sollevate da quattordici giudici, tra cui la Corte di Cassazione, sono state giudicate non fondate, sebbene la Corte abbia ritenuto ammissibili i rilievi relativi all’articolo 117 della Costituzione, in materia di rispetto degli obblighi internazionali.
Due decisioni, quelle della Corte Costituzionale, che tornano a intrecciare diritto interno e standard internazionali, tracciando una linea netta tra ciò che spetta alla giurisprudenza e ciò che compete, senza più indugi, all’intervento del legislatore.