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Migranti, costo o risorsa? Ecco cosa dimostrano i numeri

Roma, 1 agosto 2022 – Con l’arrivo della campagna elettorale si è tornati a parlare, almeno un po’ di più, di migranti. Come sempre, la destra promette di dichiarare guerra agli arrivi. Ma a conti fatti, siamo sicuri che i migranti siano un problema per l’Italia? O, forse, sono una risorsa e addirittura una necessità?

Migranti, risorsa o costo?

Secondo uno studio dell’Istat, fra il 2020 e il 2070 l’Italia scenderà da 59,6 milioni di abitanti a 47,6 milioni. Meno abitanti significano meno incassi fiscali, meno Pil, ricchezza, consumi, sviluppo. Quei 130-150 mila arrivi l’anno di migranti, quindi, potrebbero solamente aiutarci. Il problema sono gli stereotipi che ruotano attorno agli sbarchi e, più in generale, agli stranieri. “Un pregiudizio diffuso è che i migranti ci costino chissà quanto. Invece in tutti i Paesi industrializzati gli immigrati pagano in tasse e contributi più di quanto ricevono in pensioni, salute ed educazione. Ciò è spiegabile perché si tratta per lo più di giovani, sani e determinati. E se si includono le spese militari e perfino il servizio del debito pubblico, il contributo dei migranti resta positivo in un terzo dei Paesi Ocse, inclusa l’Italia”, ha infatti spiegato Stefano Scarpetta, direttore per il Lavoro e gli affari sociali dell’Ocse.

Proprio per questo, quindi, serve “una politica arriva che individui le necessità del mercato del lavoro e regoli gli arrivi a seconda delle caratteristiche di cui abbiamo bisogno: la migrazione la subiamo anziché gestirla”.

Tra l’altro, anche il calo demografico sta influendo notevolmente. “In Italia gli over 65 passeranno da 14 a 19 milioni entro il 2050. E intanto perderemo 8 milioni di lavoratori fra i 20 e i 64 anni. I trentenni sono un terzo in meno dei cinquantenni, e a loro volta i nuovi nati sono un terzo di meno dei trentenni. Il gap fra nascite e morti supera ormai le 300 mila unità: 700 mila decessi e 400 mila nascite”, ha sottolineato Alessandro Rosina, docente vdi Demografia all’Università Cattolica. Questo avrà effetti anche sul mondo del lavoro, conseguenze che oggi ancora non vediamo ma che presto ci chiederanno il conto. Nell’ipotesi di aumento delle nascite e di un saldo migratorio netto di 250 mila annui, oltre 100 mila più degli attuali, la fascia 20-49 anni perderà in vent’anni 2,8 milioni di lavoratori.

Senza nascite e migranti il numero cresce fino a 5,6 milioni. Nel 2030, circa, secondo le previsioni, mancheranno all’appello almeno 2 milioni di lavoratori tra i 15 e i 64 anni.

Decreto flussi e gli altri meccanismi che non funzionano

Il governo Draghi, per rispondere alle necessità di mercato, ha aumentato le regolarizzazioni dei migranti lavoratori facendole passare da 40 mila a 70 mila annui. Un numero che, tuttavia, non sembra ancora sufficiente. Soprattutto considerando che il meccanismo di regolarizzazione sta subendo notevoli ritardi. “I meccanismi di trasmissione delle esigenze dell’industria agli uffici del governo e agli immigrati potenziali sono insufficienti, e poi le applicazioni vengono processate con tale lentezza che alla fine restano vuote molte caselle”, ha spiegato Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia delle migrazioni alla Statale di Milano. Tra l’altro, la volontà di regolarizzarsi è concreta. Secondo l’Istat, nel 2022 il tasso di partecipazione al lavoro degli stranieri (regolarizzati) è superiore a quello degli italiani: 58,9 contro 58,6. E questo per una maggiore disponibilità, maggiore accettazione di salari bassi, più energie per la minore età.

Infine, c’è un’altra questione da considerare: “Oltre a sostenere la domanda di lavoro in settori ormai appannaggio della manodopera straniera quali l’agricoltura e l’edilizia, il contributo degli stranieri al mercato del lavoro rende più sostenibile il sistema pensionistico e sanitario in un Paese che, ci piaccia o no, invecchia sempre di più”, ha aggiunto Francesca Licari, ricercatrice Istat. Insomma, sono i dati a dimostrarlo: con una giusta politica, i migranti sono più una risorsa che un costo.

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