Roma, 29 giugno 2025 – Il protocollo tra Italia e Albania per la gestione dei migranti finisce sotto la lente della Corte di Cassazione, che in una corposa relazione elaborata dall’ufficio del massimario e del ruolo, evidenzia gravi criticità di legittimità costituzionale, oltre che conflitti con il diritto internazionale e con quello dell’Unione Europea. Il documento, riportato da il Manifesto, sottolinea come la dottrina abbia già espresso numerosi dubbi sulla compatibilità dell’accordo con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano.
Diritti fondamentali a rischio
Nel paragrafo dedicato al rapporto tra protocollo e Costituzione, la Corte individua possibili violazioni di diritti fondamentali, in particolare:
- diritto alla salute (art. 32 Cost.);
- diritto di difesa (art. 24 Cost.);
- diritto alla libertà personale (art. 13 Cost.).
Una delle principali criticità risiede nella vaghezza del protocollo, che si limita a indicare genericamente i destinatari come “migranti”, senza precisarne la categoria giuridica, generando così una disparità di trattamento tra i cittadini stranieri trattenuti in Italia e quelli destinati ai centri in territorio albanese.
Un ostacolo al diritto di asilo
Secondo la Suprema Corte, l’accordo manca di una disciplina procedurale dettagliata capace di garantire un trattamento equo ai migranti inviati nei centri in Albania. Questo squilibrio giuridico dovuto all’extraterritorialità può costituire un ostacolo concreto all’esercizio del diritto di asilo, che dovrebbe invece prevedere le stesse garanzie assicurate ai richiedenti presenti sul suolo italiano.
Trattenimento come unica opzione: violazione delle norme UE
Un altro punto critico sollevato è che, secondo quanto indicato nel protocollo, il trattenimento dei migranti non è più un’extrema ratio, come previsto dalla normativa europea, ma diventa l’unica misura applicabile. Questa impostazione viola le garanzie fondamentali della libertà personale, rischiando di tradursi in detenzioni arbitrarie e prolungate.
In particolare, la relazione evidenzia che, una volta cessate le condizioni per il trattenimento, non è possibile rilasciare il migrante direttamente in Albania, e quindi il rimpatrio verso l’Italia richiede tempi tecnici di trasferimento via mare o aereo che potrebbero comportare trattenimenti sine titulo di ore o giorni, in contrasto con i principi sanciti dalla giurisprudenza costituzionale e internazionale.
Accesso alla difesa e assistenza sanitaria insufficienti
Sul piano del diritto di difesa, la Cassazione osserva che le modalità di esercizio da parte dei migranti trattenuti in Albania non sono regolate da norme chiare, ma affidate alla discrezionalità del responsabile italiano dei centri.
Anche il diritto alla salute è ritenuto a rischio: il protocollo stabilisce che, in caso di esigenze sanitarie gravi, le autorità albanesi collaborano con quelle italiane, ma – sottolinea la Corte – il livello di assistenza in Albania non è paragonabile a quello italiano, esponendo i migranti a potenziali pregiudizi gravi per la salute.
La relazione della Cassazione rappresenta un severo monito giuridico e istituzionale nei confronti di un accordo bilaterale che – secondo la Suprema Corte – potrebbe ledere diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione italiana, dall’ordinamento europeo e dal diritto internazionale dei diritti umani. Un documento destinato ad alimentare il dibattito politico e giuridico sulla legittimità e sostenibilità del modello esternalizzato di gestione delle migrazioni.