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Bonus bebè razzista, sindaco, giunta e consiglieri pagano i danni

A Tradate gli amministratori leghisti spesero decine di migliaia di euro per difendere in tribunale un regolamento discriminatorio. Ora dovranno risarcire il Comune

 

Roma – 1 settembre 2016 – Chi discrimina paga, di tasca sua. Una recente sentenza della Corte dei Conti, l’organo che vigila su come vengono amministrati i soldi pubblici, turba i sonni di tanti amministratori locali, spesso leghisti, che in questi anni hanno promosso decine di provvedimenti che penalizzavano ingiustamente gli immigrati.

Gli appassionati del genere ricorderanno un “classico” come il bonus bebè di Tradate, Comune di circa ventimila anime in provincia di Varese. Era il 2007 e l’amministrazione leghista guidata dal sindaco Stefano Candiani (ora è senatore) si inventò un contributo da 500 euro per i nuovi nati. Non per tutti, però, visto che tra i requisiti c’era la cittadinanza italiana di entrambi i genitori. 

Il tribunale di Milano, chiamato in causa da Asgi, Avvocati per Niente e cooperativa Farsi Prossimo, ordinò in maniera abbastanza prevedibile di cancellare quel requisito, perché discriminatorio. Candiani e i suoi fecero ricorso in appello, ma persero di nuovo. Non paghi, si rivolsero alla Cassazione, che però giudicò il loro ricorso inammissibile. 

Vale la pena ricordare le tesi da difesa della razza con le quali gli avvocati del Comune tentarono invano di convincere i giudici: “La popolazione europea mostra un forte tasso di calo demografico. È del tutto ovvio che alla morte dei popoli si accompagna la morte delle rispettive culture. Il bonus attiene al futuro della cultura europea indissolubilmente legata ai popoli dell’Europa medesima”

L’ostinazione con la quale l’amministrazione di Tradate difese in tribunale il suo bonus bebè per soli italiani non solo non servì niente, ma costò oltre ventimila euro alle casse del Comune, cioè alle tasche di tutti i cittadini, compresi quelli per i quali i bambini sono tutti uguali. Un conto salato che secondo la Corte dei Conti si doveva e si poteva evitare, frutto di un comportamento dell’amministrazione “particolarmente inescusabile e connotato da colpa grave”.

In una sentenza del 4 agosto scorso, il collegio presieduto dal giudice Silvano Di Salvo ha condannato i consiglieri comunali che approvarono il regolamento, Candiani e gli assessori della sua giunta che vollero difenderlo in tribunale “nonostante la palese natura discriminatoria” e anche il segretario comunale che diede parere favorevole a risarcire il danno erariale. Dovranno restituire complessivamente al Comune oltre 17 mila euro e versare quasi 7 mila euro di spese di giudizio. 

EP 

 

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