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Quando tutti ‘vogliono’ i profughi ma nessuno se li piglia…

Sono anni che si assiste ad una feroce diatriba tra due nuove categorie che potrebbero essere battezzate scherzosamente: “pro-fughi” et “anti-fughi”. Con il risultato di aver trasformato il tutto in una fredda battaglia politica ipocrita, sulla pelle degli stessi profughi, visto che in fin dei conti, la loro condizione non si è poi tanto evoluta, e resta una chimera il coronamento dei loro sogni di una vita migliore nell’eldorado europeo.
Bello sentire le bocche riempirsi di parole inneggianti al fatto che l’accoglienza è “dovuta”, ma la domanda è: perché non si parla e non si denuncia apertamente la scandalosa latitanza dell’Unione Europea, al lato pratico. Giusto criticare aspramente le idee di chiusura proferite e applicate dagli “anti-profughi”, ma si rischia di fare a loro un favore se ciò diventa un alibi per non sottolineare con altrettanto asprezza le mancanze lampanti dell’Europa. Ormai si è tutti concentrati a criticare un’Italia che “non vuole accogliere” e che “chiude i suoi porti”, mentre è in tutta Europa che ci sono barriere, dietro le belle parole e le rimostranze all’unico paese europeo che ha accolto finora più di 700.000 profughi (non preventivamente selezionati). Ci sono tanti muri fisici e non, su tanti confini interstatali del continente europeo: Ventimiglia, Austria, Ungheria, Ceuta e Mellila…
La soluzione è semplice e ce l’ha l’Europa: basterebbe che facesse concretamente (e non solo a parole) applicare il principio della redistribuzione calibrata tra i vari paesi. Ed i mezzi per concretizzare questa ripartizione collegiale, Bruxelles ce l’ha. Ma furbescamente tutto viene, politicamente e mediaticamente, buttato in “caciara” sull’Italia, tralasciando ed evitando di denunciare veramente l’ipocrisia degli altri paesi Ue che tuonano, a lunghezza di giorno, che i profughi vanno accolti ma, in fondo, dimostrano coi loro comportamenti che sotto sotto nessuno se li vuole pigliare. Tanto più che non è sul loro suolo che quei disgraziati sbarcano.
Milton Kwami

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