Roma, 23 novembre 2024 – I centri per il trattenimento e il rimpatrio dei migranti in Albania, avviati ufficialmente l’11 ottobre, sembrano essere giunti a un punto di stallo totale. La cooperativa Medihospes, incaricata di gestire queste strutture, si prepara al rientro in Italia del proprio personale entro domani. Gli operatori sociali italiani lasceranno le basi di Shengjin e Gjader, lasciandosi alle spalle centri vuoti e un progetto costoso che, finora, non ha accolto praticamente alcun migrante.
Una smobilitazione graduale e silenziosa
Dal Viminale trapela che i centri rimarranno “operativi”, ma con personale ridotto al minimo indispensabile. I numeri parlano chiaro: dei 295 agenti previsti a pieno regime, ora ne rimangono appena 170, e molti sono stati già rimpatriati. Al centro di Gjader, secondo la presidente di Volt Europa Francesca Romana D’Antuono, il personale operativo è ormai ridotto al 25% del totale iniziale.
Nonostante la desolazione, i lavori nei cantieri proseguono: escavatori e operai lavorano a strutture che, per ora, restano vuote e prive di uno scopo concreto. Anche i funzionari delle commissioni per la protezione internazionale, che avrebbero dovuto analizzare i casi dei migranti, sono stati riassegnati ad altre mansioni.
Gli ostacoli giuridici: una questione europea
Il problema principale è giuridico: una sentenza della Corte di giustizia europea ha messo in discussione i criteri con cui l’Albania viene definita un Paese “sicuro”. Questo ha portato i giudici italiani a non convalidare i trattenimenti dei migranti. Due volte i migranti sono arrivati nei centri, e due volte sono stati respinti per mancanza di basi legali.
Ora il governo punta alla riforma delle sezioni immigrazione dei tribunali, che potrebbero essere sostituite dalle Corti d’appello. Il 4 dicembre la Cassazione si pronuncerà su ricorsi chiave presentati dal Viminale, ma il verdetto potrebbe slittare nuovamente verso la Corte di giustizia europea. Senza risposte definitive, la situazione rischia di restare congelata per mesi.
Critiche e disillusione
Le critiche al progetto sono numerose. Riccardo Magi di +Europa ironizza sul fatto che l’unico “rimpatrio” riuscito sia quello degli operatori italiani. Filiberto Zaratti di Alleanza Verdi e Sinistra parla di “vergogna di Stato”, mentre la Federazione degli Ordini dei Medici denuncia le pratiche discriminatorie nella selezione dei migranti, definendole incompatibili con l’etica medica.
Anche sul fronte economico, il bilancio è pesante. I costi di un progetto che fatica a decollare gravano sulle casse pubbliche, alimentando lo scetticismo generale.
Un progetto senza futuro?
L’Albania rappresentava per l’esecutivo un’alternativa ambiziosa nella gestione dei flussi migratori, ma l’esperimento sembra essere naufragato. Senza migranti, con personale ridotto e un quadro normativo incerto, l’iniziativa appare oggi come un’enorme operazione politica destinata al fallimento.
Per ora, l’Albania resta un simbolo di promesse non mantenute. E il futuro di questi centri, che dovevano rappresentare un nuovo modello di gestione, è più incerto che mai.