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Regolarizzazione, quando il datore dice no

Un permesso di sei mesi tutelerebbe chi non viene regolarizzato anche se ci sono i requisiti. È già successo nel 2002 Roma – 23 settembre 2009 – Tra i lavoratori domestici esclusi dalla regolarizzazione non ci sono solo quelli fermati da regole troppo rigide. Il confronto tra l’andamento fiacco delle domande e le previsioni della vigilia svela anche che molte famiglie, pur avendo i requisiti, non vogliono mettere in regola la colf o la badante senza permesso.

Una cosa, infatti, sono i requisiti, un’altra è la voglia di versare i contributi e portare la paga ai minimi sindacali. C’è anche chi ha licenziato il domestico clandestino per paura della nuova legge sulla sicurezza, ma i più continuano a tenerlo in nero. Magari prendono tempo, dicendo che c’è ancora tempo per la regolarizzazione, ma poi faranno passare il 30 settembre senza presentare la domanda. 

Ad oggi, i lavoratori che si trovano in questa situazione, hanno le armi spuntate.

“Il lavoratore può aprire una vertenza, chiedendo alla Direzione Provinciale del lavoro il riconoscimento del rapporto di lavoro e intanto inviando una raccomandata allo Sportello unico per l’Immigrazione in cui spiega che ha tutti i requisiti per essere regolarizzato. È una strada piuttosto lunga e può essere anche rischiosa, alla luce del nuovo reato di immigrazione clandestina” spiega Enrico Moroni, responsabile immigrazione del patronato Inca Cgil.

“Sarebbe meglio dare a questi lavoratori anche un permesso di soggiorno per attesa occupazione, che è valido sei mesi. È una richiesta che arriva da tutti i patronati, si tamponerebbe così almeno uno dei problemi di questa regolarizzazione, che ha limitazioni assurde e lascerà comunque fuori moltissimi lavoratori” dice il rappresentante dell’Inca Cgil.

Il permesso di sei mesi per gli esclusi non sarebbe una novità. Anche durante la sanatoria del 2002, molte famiglie e imprese si rifiutarono di mettere in regola o licenziarono i lavoratori stranieri e questi avviarono delle vertenze. L’allora capo della Polizia Giovanni De Gennaro disse alle Questure di rilasciare, in questi casi, dei permessi di soggiorno per attesa occupazione.

La circolare di De Gennaro arrivò però a regolarizzazione quasi finita, lasciando agli immigrati pochi giorni per avviare una vertenza e chiedere il permesso. Scatenò poi un bel po’ di maretta nel governo e il ministro del lavoro la definì “un atto illegittimo, unilaterale, inaccettabile”. Ministro del lavoro che, nel 2002, era proprio Roberto Maroni.

Elvio Pasca

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