Il Tar solleva un’altra questione di legittimità costituzionale. E i negozi che hanno presentato ricorso rimangono aperti
MILANO – Non c’è pace per la legge sui phone center entrata in vigore in Lombardia lo scorso marzo. Le proteste dei gestori trovano sempre più spesso una sponda nelle decisioni dei giudici amministrativi, mentre incombe la possibilità di una pronuncia di incostituzionalità da parte della Consulta.
Per chi si fosse perso le puntate precedenti, la legge 6/2006 ha imposto regole che per moltissimi sono inapplicabili. Negli esercizi devono infatti esserci almeno due bagni (3 se il locale supera i 60mq), una sala d’attesa e cabine telefoniche di 1 mq, una delle quali attrezzata per i disabili, e va inoltre rispettata la normativa in materia di barriere architettoniche. Per svolgere l’attività di phone center, si deve poi rinunciare a tutte le altre (es. money trasfert, spedizione pacchi ecc.).
L’ultimo affondo contro la nuova legge è arrivato il 10 luglio dalla sezione milanese del Tar della Lombardia, che ha sospeso cautelativamente la chiusura di due esercizi e sollevato una questione di legittimità costituzionale sulle legge 6/2006. Praticamente la replica, mutata mutandis, di quanto già successo a Brescia.
I ricorsi preparati dall’avv. Gianluca Mura puntavano il dito, oltre che su alcuni vizi di forma dei provvedimenti di chiusura delle attività dei sui assistiti, sulla dubbia costituzionalità delle regole che questi avrebbero dovuto rispettare: "Crediamo che i phone center non possano essere regolamentati da una legge regionale, come dei normali esercizi commerciali, ma devono sottostare alla normativa comunitaria sui servizi di comunicazione elettronica" spiega l’avvocato.
In pratica, la Regione avrebbe legiferato su una materia che non la riguarda, così come, fissando delle precise prescrizioni igienico sanitarie, avrebbe anche invaso il campo di competenza delle Asl e dei Comuni. Inoltre, regole così dure sarebbero eccessivamente penalizzanti per gli operatori economici, in particolare per quelli che avevano un’attività già avviata, andando quindi a colpire i gestori economicamente più deboli e a non tutelare la concorrenza.
Per il Tar queste osservazioni potrebbero essere fondate, e così la questione è stata girata alla Corte Costituzionale. Fino a quando questa non si pronuncerà, i phone center che hanno presentato ricorso potranno continuare a rimanere aperti.
Questo non è un caso isolato: solo a luglio, a Milano, sono state sospese una decina di chiusure. E se una rondine non fa primavera, quando di rondini se ne vedono tante è probabile che la brutta stagione sia finita. Il ricorso, paga. L’avv. Mura è comprensibilmente cauto, "ogni ricorso fa storia a sé, – dice – i giudici valutano caso per caso", ma alla fine ammette: "alla luce di tutte queste pronunce varrebbe comunque la pena provare".
(23 luglio 2007)
Elvio Pasca