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Salute. Tbc: un malato su due è immigrato

Chi arriva con i viaggi della speranza rischia di ammalarsi dieci volte di più. L’esperto: “Spesso cambiata per altre malattie”

Roma – 10 marzo 2011 – La tubercolosi resta una piaga e torna a far paura anche in Italia.  “Ufficialmente nel nostro Paese i nuovi casi sono circa 4.500 all’anno, ma considerando la quota di sommerso ne possiamo stimare circa 7-8 mila. E la metà riguarda la popolazione immigrata”.

A fare i conti in vista del 24 marzo, Giornata mondiale della tbc, e’ Giorgio Besozzi che a Milano dirige il Centro di formazione permanente tubercolosi Villa Marelli dell’ospedale Niguarda, ed e’ membro del direttivo di Stop TB.

In fuga da zone in cui la tubercolosi e’ endemica, spesso portatori del micobatterio imputato e stremati da viaggi della speranza che diventano odissee, gli immigrati sbarcano sulle coste della Penisola con difese immunitarie ai minimi e rischiano di ammalarsi di tbc 10-15 volte in piu’ rispetto alla popolazione italiana. Inoltre sono anche piu’ esposti a forme di tubercolosi resistenti ai farmaci, che ogni anno fanno registrare nel mondo 440 mila casi con 150 mila morti.

I nuovi portatori del bacillo arrivano soprattutto dal Nord Africa e dall’Est Europa, dove il loro numero e’ raddoppiato negli ultimi 10 anni, e i malati ‘conclamati’ diagnosticati in Italia sono per lo più cittadini rumeni (11% del totale casi nazionale) e marocchini (5%), seguiti da immigrati da Senegal, Peru’ e Pakistan. L’emergenza potrebbe aggravarsi con l’arrivo di profughi dalle crisi nordafricane.

Per cercare nuove risposte, la Federazione italiana contro le malattie polmonari sociali e la tubercolosi (Fimpst), Stop TB Italia Onlus e Lilly MDR-TB Partnerhip hanno convocato per il 23 marzo a Roma gli Stati generali sulla malattia. “vogliamo capire insieme dove sono i ‘buchi neri’ della lotta alla tbc, le aree in cui piu’ serve il supporto della politica. Perche’ se manca questa disponibilita’, non si fa nulla”, riflette Besozzi.

Fra i ‘nodi’ segnalati dagli specialisti “la scarsa abitudine dei medici a confrontarsi con i sintomi della malattia, spesso scambiata con altre patologie”, ma soprattutto le “carenze organizzative di monitoraggio e gestione dei malati, fino alla limitata accessibilita’ alle terapie piu’ efficaci”.

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