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Colf e badanti. In nero una su due, solo il 25% vuole rimanere in Italia

La maggior parte vuole lasciare l’Italia. Olivero: "Rendere conveniente la regolarizzazione"

ROMA – Lavorano in nero, lontane dai propri figli e sognano di tornare a casa.

Non è felice l’identikit delle colf straniere tracciato dalla ricerca realizzata dall’Iref, l’Istituto di ricerche educative e formative delle Acli, intervistando tra marzo e aprile di 1000 donne arrivate qui da tutto il mondo per dare una mano nelle case degli italiani. Un "Welfare fatto in casa" (è il titolo della ricerca) senza il quale i costi di assistenza ricadrebbero tutti sulle casse dello Stato.

Il lavoro domestico è prevalentemente femminile (84%), dove sono protagoniste donne dell’Europa dell’Est (31%) o delle ex-repubbliche sovietiche (29%). In termini di nazionalità, le più rappresentate sono le lavoratrice ucraine (19%), rumene (17%) e filippine (12%). Ma l’analisi dei flussi d’ingresso mostra come dall’Asia, dall’Africa e dal Centro e Sud America arrivino sempre meno lavoratrici.

Secondo il rapporto, più della metà delle colf straniere (57%) lavora completamente o in parte senza contratto. A quelle che non possono averlo perché sono in Italia irregolarmente (24%), si sommano infatti quelle che svolgono almeno un lavoro in nero(33%) anche se hanno un permesso di soggiorno. Il contratto comunque non basta: tra quelle che ne hanno uno, oltre la metà (55%) denuncia delle irregolarità nei versamenti previdenziali, del tutto assenti o versati solo parzialmente denunciando meno ore di quelle effettivamente lavorate. Un’opzione scelta 6 volte su 10 di comune accordo con il datore di lavoro.

Se lo stipendio mensile è di 880 €, la situazione varia sensibilmente tra le collaboratrici regolari e quelle che non lo sono. Le prime godono di maggiori garanzia economiche e guadagnano anche 1.000 euro al mese; le colf irregolari hanno un guadagno medio di 750 euro. Anche il costo delle ore di straordinario varia a seconda della regolarità o meno delle collaboratrici. Lavorare oltre 40 ore settimanali frutta alle colf irregolari solo 145 euro in più, a fronte dei 300 euro che guadagnano le collaboratrici in possesso di un documento.

La maggiorparte delle colf sono sposate e hanno figli, ma la ricerca fotografa il dramma di tante famiglie divise: quasi il 60% delle intervistate è lontana dai propri figli, rimasti in patria con il papà o con i nonni. È anche per questo che il 75% dichiara di non voler rimanere in Italia, e comunque il 60% pensava già al momento della partenza di trattenersi qui solo il tempo necessario per mettere da parte un po’ di risparmi.

Per il presidente nazionale delle Acli, Andrea Olivero, indica due priorità per il welfare "fatto in casa": "Garantire la regolarizzazione di questi rapporti di lavoro. E modificare profondamente il sistema per assicurarne la tenuta nel tempo, in un regime però di maggiore equità e dignità". In quest’ottica andrebbe incrementato il Fondo per la non autosufficienza e le famiglie dovrebbero essere più libere di scegliere come utilizzare queste risorse per assistere i propri cari.

La regolarizzazione, spiega Olivero, deve essere conveniente per tutti. "Per le famiglie: dando certezza di assistenza qualificata e responsabile. Per le lavoratrici che vogliono andare via: assicurando il riscatto dei contributi versati. Per chi vuole restare in Italia: rendendo omogenea la copertura previdenziale a quella degli altri lavoratori. Per le lavoratrici straniere irregolari: collegando questo tipo di lavoro socialmente utile ad un percorso di cittadinanza agevolata".

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Iref-Acli: "Il Welfare fatto in casa"

(22 giugno 2007)

 

Elvio Pasca

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