Roma – 27 febbraio 2013 – Sentenza del Tar del Lazio, Sezione Seconda Quater n. 978/2013 del 28.1.2013; ordinanza cautelare del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 2992/2012 del 27.7.2012.
Con tale sentenza, del 28 gennaio 2013, il T.a.r. del Lazio ed il Consiglio di Stato hanno confermato un’interpretazione “costituzionalmente orientata” dell’art. 5 del D.lgs. n. 286/1998 (Testo Unico sull’immigrazione, modificato con la Legge n. 189/2002 “Bossi-Fini”), che scongiura, a carico di un cittadino extracomunitario che in passato abbia riportato sentenze penali di condanna, una vera e propria “condanna sine die”. Nelle ipotesi di pregresse sentenze penali di condanna (tra le quali: condanne per reati in materia di stupefacenti), le Questure sono “solite” rigettare l’istanza di rilascio o rinnovo di permesso di soggiorno, applicando automaticamente il citato art. 5, senza operare una valutazione del caso concreto e ritenendo presunta la pericolosità sociale dello straniero. Ciò anche nelle ipotesi, come quella del caso di specie, in cui le sentenze penali sono molto risalenti nel tempo, le condanne sono state scontate ed il cittadino extracomunitario ha positivamente concluso un percorso di recupero e si è reinserito nella società e nel mondo del lavoro.
Nel caso di cui alla sentenza in commento, il Consiglio di Stato dapprima (in sede di appello cautelare) ed il Tar del Lazio poi (in sede di giudizio di merito) hanno confermato che l’art. 5 del Testo Unico sull’Immigrazione impone una valutazione delle circostanze del caso concreto, prevedendo una deroga al diniego – previsto in via generalizzata – di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno in presenza di sentenze penali di condanna per alcune fattispecie di reato, laddove sussistano “nuovi elementi” sopravvenuti. La “pericolosità sociale” dello straniero, il quale richiede il rilascio e/o il rinnovo del permesso di soggiorno avendo riportato sentenze penali di condanna, non può quindi essere presunta, ma deve essere accertata caso per caso. Nello specifico, sono valsi alla concessione della tutela cautelare (in secondo grado) ed all’accoglimento del ricorso (in primo grado), il “percorso di riscatto” personale e terapeutico, il reinserimento sociale e lavorativo, compiuti dal cittadino extracomunitario, che, in aggiunta alla “sussistenza di rapporti familiari”, sono stati reputati quali “circostanze da valorizzare “ai fini dell’applicazione delle disposizioni dell’art. 5, comma 5, secondo periodo, del D.Lgs. n. 286/1998, quali parametri che la medesima norma soprarichiamata prescrive di valutare ogni volta che ci si trovi di fronte a situazioni di ricongiungimento familiare o ad esse assimilabili”.
A sommesso parere di chi scrive, l’interpretazione dell’art. 5 del D.Lgs. n. 286/1998 così offerta dal Giudice amministrativo appare decisamente più ispirata ai principi costituzionali del nostro ordinamento giuridico e prende le mosse da un implicito riconoscimento della preminente, irrinunciabile, unica funzione della pena detentiva: quella rieducativa.
Avv. Virginia Giocoli
(Si ringrazia l’avv. Giocoli per il gentile e prezioso contributo)