In Romagna c’è un’orchestra innamorata della musica tradizionale albanese. La dirige il fisarmonicista Bardh Jakova, cercando di “fare meno danni possibili”
Roma – 19 dicembre 2013 – Chi vive in Romagna ed intorni forse ha avuto modo di apprezzare la “Spartiti per Scutari Orkestra” nelle piazze dove si è esibita. Sono 15-20 strumentisti e cantanti giovani, in maggior parte italiani, diretti dal fisarmonicista albanese Bardh Jakova. Un bellissimo gruppo di personaggi che suonano e cantano musica albanese, che commuovono gli albanesi e divertono tutti.
Per il pubblico che non ha ancora avuto la fortuna di sentirla dal vivo, finalmente è arrivato il momento di conoscere quest’orchestra. Da pochi giorni è uscito il loro primo album che prende il titolo da uno dei brani, la canzone scutarina “Qui è sempre primavera”. Dopo anni di lavoro, “Spartiti per Scutari” mette insieme 14 brani, alcuni originali, altri della musica tradizionale albanese, da Saranda al Kosovo. Tutti sono stati arrangiati per l’occasione da Bardh Jakova in collaborazione con Gioele Sindona, violinista e vicedirettore artistico della banda.
“Abbiamo toccato quasi tutte le zone dell’Albania e gli strumenti tipici, dalle musiche con flauto e loder (tapan) del Nord alle bellissime e dolci danze del Sud. – racconta Bardh Jakova – L’album comprende brani d’amore, di matrimoni, di solidarietà di Saranda, Valona, Berat, Tirana, Scutari, Dibra, anche un brano del Kosovo. In più ci sono tre brani originali scritti da me ed uno di Agim Krajka”.
L’orchestra “Spartiti per Scutari” è nata alcuni anni fa come laboratorio grazie alla volontà di Bardh, ragazzo di Scutari, diplomato in fisarmonica sia nel suo Paese che a Pesaro. Cresciuto in una famiglia di artisti, figlio di Çesk Jakova, contrabbassista nella Filarmonica di Scutari, nipote di Prenkë Jakova "Onore della patria", compositore della prima Opera albanese "Mrika", Bardh ha sempre vissuto tra gli spartiti con l’amore e il rispetto per la musica tradizionale.
Con la sua orchestra ha sempre voluto “conservare e coltivare” la musica tradizionale albanese. “Ho sempre cercato di non modificare i temi, ma di rispettarli il più possibile e cercare di tramandare la musica e le canzoni così come sono nate. Ho l’impressione che più riempi di note la musica tradizionale, più la impoverisci come sonorità. In poche parole, – aggiunge – ho cercato di fare meno danni possibili”. E sembra esserci riuscito. “Quando, dopo un concerto a Forlì, un ragazzo albanese mi si è avvicinato per dirmi ‘sono un po’ antiche queste canzoni e anche il modo in cui le riportate’, gli ho sorriso e l’ho ringraziato perché è quello che volevo”.
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