Nel dopoguerra 24 mila italiani rimasero bloccati sull'altra sponda dell'Adriatico, ostaggi del regime comunista. Una videoistallazione al Maxxi racconta il loro destino, attraverso corrispondenza che non fu mai consegnata
Roma – 30 marzo 2015 – Meno di 40 miglia separano l’Albania dall’Italia. Una distanza breve, diventata particolarmente nota ai più negli anni Novanta quando venne attraversata da migliaia di persone, in fuga dal crollo del regime comunista, dirette verso la costa italiana nel più grande esodo avvenuto dalla fine del secondo conflitto mondiale.
Sue Proprie Mani, l’opera che due artisti albanesi Adrian Paci e Roland Sejko hanno realizzato in collaborazione per il MAXXI di Roma, racconta di chi quelle 40 miglia tra l’Albania e l’Italia le ha percorse al contrario, in un tempo lontano, portando alla luce una vicenda del secondo dopoguerra poco conosciuta. Dopo l’8 settembre del 1943, circa 24.000 tra ex-soldati, operai, medici, commercianti, ingegneri italiani, giunti in Albania durante l’occupazione, con la fine della guerra e la salita al potere di Enver Hoxha, non possono più tornare a casa e, senza alcun contatto con la madrepatria, diventano pedine di scambio di un gioco politico tra i due paesi che durerà lunghi anni.
Le loro voci, e quelle di chi li aspetta in Italia, senza più notizie, ci giungono attraverso due sacchi di lettere segnati con l’etichetta "Corrispondenza dei cittadini italiani in Albania", ritrovati pochi anni fa nell’Archivio di Stato albanese. Lettere scritte per la maggior parte tra il 1945 e il 1946 e mai recapitate.
Paci e Sejko partono da queste lettere per realizzare una video-installazione su più schermi, nei quali sei personaggi appaiono e scompaiono, immersi nella densa penombra serale. Forse autori delle missive, forse coloro ai quali sono dirette, forse solo testimoni, sono assorti nei loro pensieri mentre in sottofondo si ascoltano frammenti delle lettere mai lette: “Cara mamma, sono già tre anni che non ci vediamo più e da sedici mesi non ho più vostre notizie.” “Non sapremo mai quando ci rimpatriano, se ci rimpatriano…” “Caro babbo, ho sentito i bombardamenti…” , “Dopo mesi e mesi che non ho più notizie del tuo arrivo, non posso più nascondertelo, tuo padre è morto otto mesi fa”.
Adrian Paci, tra i più significativi artisti operanti in Italia, e Roland Sejko, regista, hanno entrambi negli anni, separatamente, compiuto una riflessione complessa e poetica centrata sul senso, le ragioni le conseguenze della migrazione degli anni Novanta, restituendole un significato universale. Paci attraverso opere che parlano di lontananza, conflitto, lavoro, dignità, Sejko dando, con il suo film, Anija-La nave (premio David di Donatello 2013), un volto e una storia alle persone che componevano la folla dei migranti sbarcati sulle coste pugliesi e permettendo a tutti di riconoscervisi attraverso questo processo d’individuazione.
Il museo Maxxi di Roma ospiterà Sue Proprie Mani, nella Sala Gan Ferrai, dal 2 aprile al 7 giugno 2015
Shqiptariiitalise.com
Paci e Sejko në MaXXI të Romës me videoinstalacionin "Sue proprie mani" (Shqiptariiitalise.com)