La giusta prospettiva sull’ “emergenza immigrazione”. I costi sostenuti dalla pubblica amministrazione per gli stranieri residenti in Italia sono ampiamente compensati da tasse e contributi versati dagli stessi lavoratori stranieri
Roma – 27 gennaio 2017 – La polemica sull’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, indicata comunemente come “emergenza immigrazione”, rischia di far dimenticare il reale impatto dell’immigrazione in Italia: 5 milioni di regolari contro 175mila profughi (dato ufficiale dei presenti nelle strutture a fine 2016).
Secondo le stime pubblicate ogni anno sul Dossier statistico immigrazione, poi, il saldo tra il gettito fiscale e contributivo versato dagli immigrati in Italia e spesa pubblica destinata all’immigrazione risulta ampiamente positivo. Nell’ultimo anno per cui si ha il dato, il 2014, nonostante l’onda lunga della crisi abbia inciso sui trasferimenti economici diretti, il saldo tra entrate e uscite varia a seconda del metodo di calcolo da +1,8 a +2,2 miliardi di euro. Tuttavia, l’opinione pubblica ha una percezione profondamente negativa dei costi indotti nel welfare dalla presenza di stranieri. Al di là del ruolo dei mezzi di comunicazione nella costruzione e nella diffusione delle informazioni, ciò dipende anche da alcuni fattori di carattere socio-economico.
In primo luogo, non si possono negare i casi di abusi nell’accesso al sistema del welfare (tra cui il cosiddetto “turismo del welfare” da parte di cittadini comunitari, pur limitato dalla direttiva UE 2004/38 e da numerose sentenze della Corte di giustizia che negano l’obbligo di prestazioni sociali per cittadini comunitari economicamente inattivi e privi di risorse sufficienti al proprio mantenimento).
Inoltre, mentre la spesa per il welfare e i costi sociali dell’integrazione sono sostenuti principalmente a livello locale (casa, sanità e asili nido), il gettito fiscale e quello contributivo (con l’eccezione dell’Irpef regionale e comunale) si indirizzano verso Roma, divenendo quindi meno “visibili” per le comunità locali. Esempi emblematici sono la sanità (si lamenta spesso una presenza eccessiva di stranieri, soprattutto nei pronto soccorso, nonostante l’80 per cento della spesa sia rivolta agli anziani) e la casa, bene scarso su cui l’opinione pubblica percepisce molto forte la “concorrenza” degli immigrati, anche in presenza di condizioni socio-economiche di oggettivo bisogno (mediamente solo il 20 per cento degli immigrati è proprietario di casa, contro l’80 per cento degli italiani, e il reddito medio di un immigrato corrisponde al 63 per cento di quello di un italiano).
Spesa pubblica e contributo degli immigrati
Osserviamo dunque le principali voci di spesa sostenute dallo Stato italiano per la componente immigrata, utilizzando il sistema di calcolo del costo standard (intendendo il totale dei costi diviso il numero degli utenti, cioè una spesa media pro-capite riferita a un determinato anno fiscale).
Considerando che le principali voci di spesa pubblica italiana sono sanità e pensioni, appare chiaro come siano rivolte principalmente alla popolazione anziana, con una minore incidenza della componente straniera. Sommando le diverse voci (sanità, scuola, servizi sociali, casa, giustizia, accoglienza e rimpatri e trasferimenti economici), per l’anno 2014 si arriva a 14,7 miliardi di euro, pari a circa l’1,8 per cento del totale della spesa pubblica italiana. In particolare, la spesa relativa all’accoglienza dei richiedenti asilo rientra all’interno della voce “ministero dell’Interno”, che include accoglienza, rimpatri e lotta all’irregolarità e ammonta nel 2014 a 1 miliardo di euro, destinato ad aumentare a oltre 3 miliardi a seguito dell’aumento degli sbarchi nel 2015 e 2016.
Dal lato delle entrate, invece, le voci principali sono il gettito Irpef e i contributi previdenziali (che, pur non essendo una vera e propria imposta, nell’anno corrente contribuiscono al sostegno della spesa pensionistica). Sommando anche le altre voci minori di entrata (imposta sui consumi, carburanti, lotto e lotterie, permessi di soggiorno, acquisizioni di cittadinanza), si ottiene un volume di 16,9 miliardi di euro, con un avanzo positivo di 2,2 miliardi di euro. In questo caso sono considerati solo i flussi finanziari diretti, ma andrebbero considerati anche alcuni benefici indiretti, come l’impatto su volume dei consumi, specie in alcuni settori rivolti a fasce di reddito medio-basse.
La maggior parte delle risorse versate allo Stato dagli immigrati (quasi 10 miliardi su 16,9) si concentra nelle regioni con più occupati stranieri (Lombardia, Lazio, Emilia Romagna e Veneto), che da sole raggiungono il 57 per cento del totale. In particolare, i lavoratori stranieri della Lombardia contribuiscono alle casse dello Stato con 4 miliardi, quelli del Lazio con 2,2 miliardi e così via (tabella 1).
Questi dati, presentati a livello regionale, possono essere utili per offrire una diversa prospettiva, dalla quale si vede come i costi sostenuti dalla pubblica amministrazione per l’utenza immigrata (sanità, scuola, abitazioni, giustizia e così via) siano ampiamente compensati dalle tasse pagate e dai contributi versati dagli stessi lavoratori stranieri.
Tabella 1 – Gettito fiscale e contributivo dei lavoratori immigrati, anno 2015
* Include Irpef e altre imposte (consumi, carburanti, lotto e lotterie, permessi di soggiorno, acquisizioni di cittadinanza). Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su dati Istat Rcfl e Mef – Dipartimento delle finanze
Enrico Di Pasquale
Andrea Stuppini
Chiara Tronchin
tratto dal sito www.lavoce.info