Consiglio di Stato – VI Sezione – Sentenza n. 1737 del 16 aprile 2008
Il Consiglio di Stato conferma la sentenza del giudice amministrativo con la quale si accoglie il ricorso di una cittadina tunisina contro la revoca del proprio permesso di soggiorno. Avverso detta sentenza la Questura ha proposto appello riconducendo la revoca al mancato soddisfacimento di “condizioni e requisiti previsti dalla legge”, ovvero a “motivate ragioni” ostative, “attinenti alla sicurezza dello Stato e all’ordine pubblico o di carattere sanitario.
Nel caso di specie non risulta che l’Amministrazione abbia individuato con esauriente istruttoria e puntualità di motivazione ragioni ostative alla permanenza in Italia della cittadina tunisina: quest’ultima, infatti, era munita di regolare permesso di soggiorno all’epoca della rilevata presenza in una casa, definita “di appuntamento”; tale circostanza, inoltre, oltre a non concretizzare una causa tipica di espulsione, era segnalata dall’interessata come “sporadica” e “occasionale”, nonché causata da difficoltà economiche, sulla cui temporaneità nessun accertamento risulta effettuato, con particolare riguardo alla situazione familiare della straniera, anche in relazione al conosciuto rapporto matrimoniale della medesima con un cittadino italiano.
Come sottolineato nella sentenza appellata, infatti, la posizione giuridica della originaria ricorrente era caratterizzata dalla condizione della medesima di coniugata ad un cittadino italiano e dal conseguente titolo ad ottenere, quanto meno, un permesso di soggiorno a tempo illimitato, ex art. 4, c. 7 D.L. 30.12.1989, n, 416, convertito in legge 28.2.1990, n. 39, il successivo comma 12 dell’art. 4 del medesimo D.L. n. 416/89.
Premesso quanto sopra, il Collegio non ritiene di doversi discostare dalla decisione assunta dal giudice di primo grado: tale decisione, infatti, è basata su presupposti di fatto e di diritto, che non appaiono confutabili in base alle ragioni esposte in sede di appello.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.1737/08
Reg.Dec.
N. 5549 Reg.Ric.
ANNO 2003
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 5549/03, proposto dal MINISTERO DELL’INTERNO e dalla QUESTURA DI ROMA, nonché dalla PREFETTURA DI ROMA – UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e presso gli uffici della medesima domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
la signora BEN MOHAMED NAIMA, non costituitasi in giudizio;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma, sezione I ter, n. 5501/02 del 12.6.2002;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 15 gennaio 2008, il Consigliere Gabriella De Michele;
Udito l’avv. dello Stato Melillo;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
Con atto di appello notificato il 6.6.2003 si impugna la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sezione I ter, n. 5501/02 del 12.6.2002 (che non risulta notificata), con la quale si accoglieva il ricorso della signora Naima Ben Mohamed, di nazionalità tunisina, avverso la revoca del proprio permesso di soggiorno, revoca disposta con decreto del Questore di Roma in data 5.3.1991 e giustificata dalla identificazione della straniera interessata – da parte della Questura di Messina – in una abitazione, adibita a “casa di appuntamento”.
Nella citata sentenza del Giudice Amministrativo n. 5501/02 sono evidenziate le seguenti ragioni di accoglimento del ricorso: fondatezza della censura, riferita ad eccesso di potere per errata valutazione dei presupposti e difetto di motivazione, non essendo stata valutata la situazione della ricorrente in quanto coniugata ad un cittadino italiano, con conseguente sussistenza dei presupposti sia per il rilascio di permesso di soggiorno, ricondotto a motivi di coesione familiare, sia per l’acquisto della cittadinanza italiana (all’epoca dei fatti preclusa soltanto dalle ragioni ostative, di cui all’art. 2 della legge n. 123/1981), sia comunque per il rilascio di permesso di soggiorno a tempo illimitato, ai sensi dell’art. 4, comma 7 del D.L. 30.12.1989, n. 416, convertito in legge 28.2.1990, n. 39 (che garantiva tale beneficio agli stranieri extracomunitari, coniugati con un cittadino italiano e residenti da più di tre anni in Italia). Quanto sopra, pur non essendo risultata veritiera l’affermazione della medesima ricorrente di essere già cittadina italiana, ma risultando comunque noto alla Questura di Roma il vincolo matrimoniale in questione, contratto nel 1985, mentre da nessun documento sarebbe emersa la mancanza del requisito della convivenza.
Avverso detta sentenza, nonché avverso il contestato diniego, nell’atto di appello non vengono prospettati motivi di gravame singolarmente formalizzati, ma si sottolinea la non rispondenza a verità della fondamentale prospettazione difensiva dell’attuale parte appellata, che nel ricorso proposto aveva affermato di essere cittadina italiana, con ulteriore ammissione di avere esercitato la prostituzione per ragioni di particolare indigenza, ovvero per una circostanza ostativa alla permanenza dello straniero sul territorio nazionale, poichè privo di legittimi mezzi di sussistenza.
La signora Naima Ben Mohamed non si è costituita in grado di appello, dopo avere però documentato in primo grado di giudizio, nell’anno 2001, di essere tuttora in possesso di permesso di soggiorno (rinnovato ogni tre mesi per motivi giudiziari), nonché di avere stipulato un contratto di lavoro subordinato – sottoposto alla sola condizione dell’effettivo rilascio del permesso in questione – come collaboratrice domestica, a tempo indeterminato; nel medesimo periodo, inoltre, la medesima dimostrava di condurre in locazione un appartamento e di avere un figlio minore, in regola con la frequenza scolastica.
Premesso quanto sopra, il Collegio non ritiene di doversi discostare dalla decisione assunta dal giudice di primo grado: tale decisione, infatti, è basata su presupposti di fatto e di diritto, che non appaiono confutabili in base alle ragioni esposte in sede di appello.
Come sottolineato nella sentenza appellata, infatti, la posizione giuridica della originaria ricorrente era caratterizzata dalla condizione della medesima di coniugata ad un cittadino italiano e dal conseguente titolo ad ottenere, quanto meno, un permesso di soggiorno a tempo illimitato, ex art. 4, c. 7 D.L. 30.12.1989, n, 416, convertito in legge 28.2.1990, n. 39 (mentre più complessa – e non ancora avviata – risultava la procedura per ottenere la cittadinanza); il successivo comma 12 dell’art. 4 del medesimo D.L. n. 416/89, inoltre, ammetteva la revoca del permesso di soggiorno “con provvedimento scritto e motivato” ed il “rifiuto” (o la revoca) del medesimo permesso era ricondotto al mancato soddisfacimento di “condizioni e requisiti previsti dalla legge”, ovvero a “motivate ragioni” ostative, “attinenti alla sicurezza dello Stato e all’ordine pubblico o di carattere sanitario” (cfr. anche, sul punto, TAR Lazio, Roma, sez. I, 8. 11 .1993, n. 1570; TAR Toscana, sez. I, 5.6.1997, n. 167 e sez. II, 6.2.1997, n. 66).
L’art. 25 della legge 22.5.1975, n. 152 (abrogato ex art. 47 del D.Lgs. 25.7.1998, n. 286), a sua volta, ammetteva l’espulsione dal territorio dello Stato dei cittadini stranieri che non dimostrassero “a richiesta dell’Autorità di pubblica sicurezza, la sufficienza e la liceità delle fonti del loro sostentamento in Italia”.
Nel caso non risulta che l’Amministrazione – tenuto conto del quadro normativo sopra indicato, antecedente all’emanazione del testo unico sull’immigrazione e del relativo regolamento (D.Lgs. 25.7.1998, n. 286 e D.P.R. 31.8.1999, n. 394) – abbia individuato con esauriente istruttoria e puntualità di motivazione ragioni ostative alla permanenza in Italia della straniera di cui trattasi: quest’ultima, infatti, era munita di regolare permesso di soggiorno all’epoca della rilevata presenza in una casa, definita “di appuntamento”; quest’ultima circostanza tuttavia, oltre a non concretizzare una causa tipica di espulsione, era segnalata dall’interessata come “sporadica” e “occasionale”, nonché causata da difficoltà economiche, sulla cui temporaneità nessun accertamento risulta effettuato, con particolare riguardo alla situazione familiare della straniera, anche in relazione al conosciuto rapporto matrimoniale della medesima con un cittadino italiano (i cui segnalati precedenti penali non escludevano, di per sé, un’attuale regolarità di vita, né il rispetto degli obblighi di assistenza familiare).
Per le ragioni esposte – ovvero, non risultando accertato che la condotta e la situazione economica della parte appellata fossero tali, da giustificare le misure adottate – il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto; quanto alle spese giudiziali, nessun provvedimento deve essere adottato per la mancata costituzione della appellata vittoriosa.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge l’appello; Nulla per le spese giudiziali.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale – Sez.VI – nella Camera di Consiglio in data 15 gennaio 2008, con l’intervento dei Signori:
Giuseppe Barbagallo Presidente
Luciano Barra Caracciolo Consigliere
Domenico Cafini Consigliere
Roberto Chieppa Consigliere
Gabriella De Michele Consigliere Est.
Presidente
GIUSEPPE BARBAGALLO
Consigliere Segretario
GABRIELLA DE MICHELE VITTORIO ZOFFOLI
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15 aprile 2008
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
MARIA RITA OLIVA
CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
Addì…….copia conforme alla presente è stata trasmessa
al Ministero……….
a norma dell’art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
Il Direttore della Segreteria