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Azione penale contro la discriminazione

L’azione penale per la discriminazione, contrariamente a quella civile, non richiede una procedura particolare. Infatti, chiunque, ritenga di essere stato vittima di un comportamento discriminatorio, potrà presentare una denuncia o proporre una querela alle autorità competenti (ad esempio davanti alle autorità di pubblica sicurezza).

La querela ai sensi dell’art. 336 c.p.p. si propone mediante dichiarazione nella quale la parte personalmente od a mezzo di procuratore manifesta la propria volontà di procedere in ordine ad un fatto previsto come reato.

L’iter che seguirà è quello previsto dalle disposizioni processuali penali ai sensi delle quali si avrà la trasmissione degli atti all’ufficio del Pubblico Ministero.

Deve essere segnalato che, tuttavia, sono rare le pronunce tendenti ad una repressione penale delle condotte discriminatorie.

Una certa rilevanza è data dalla legge di ratifica del 1975 della Convenzione ONU per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 1966.

In particolare, l’art. 3 della l. 13 ottobre 1975, n. 654, così come modificato dalla l. 25 giugno 1993, n. 205, e poi dalla l. 24 febbraio 2006, n. 85 punisce chi:

•    ”propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico";

•    "istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi";

•    ”in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi";

•    ”partecipa, presta assistenza, promuove o dirige organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi fra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi".

Ma ancor più rilevante è che il nostro legislatore ha ritenuto che nel caso di "per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità" potrà essere, applicata la circostanza aggravante tendente a maggiorare la pena fino alla metà di quella prevista.

Inoltre, è stata prevista la procedibilità d’ufficio "in ogni caso" dei reati aggravati dalla finalità di discriminazione razziale.

I Tribunali potranno, tra l’altro, applicare in caso di sentenza di condanna per uno dei reati di discriminazione, ulteriori pene accessorie, quali ad esempio: l’obbligo di svolgimento di attività sociale non retribuita, l’obbligo di rientro al proprio domicilio ad orari prestabiliti, la sospensione della patente di guida, del passaporto e di documenti validi per l’espatrio, il divieto di partecipare ad attività di propaganda elettorale per le elezioni politiche o amministrative, ecc.

La scarsità, tuttavia, dell’applicazione dello strumento dell’aggravante della finalità di discriminazione razziale è rilevabile da quanto indicato dalle stesse autorità italiane alla Commissione Europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI), è stata applicata soltanto in tre casi nel 2001, in quattro nel 2002, in due casi nel 2003 e in nessun caso nel 2004 (cfr. Terzo Rapporto ed ultimo rapporto sull’Italia dell’ECRI, Strasburgo, 16 maggio 2006, § 9).

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Azione civile contro la discriminazione

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