di Fatima Edouhabi
E’ sotto gli occhi di tutti, oggi il sistema capitalistico è in crisi a causa di uno dei suoi pilastri fondamentali: la finanza.
Finanza che, nata per agevolare la circolazione del capitale, è diventata negli anni per lo più speculazione. Titoli azionari in balia di broker senza scrupolo lontani anni luce dall’economia reale. Dalle internet company, ai future, ai mutui subprime. La lista è lunga e la situazione è andata negli anni peggiorando. Bilanci truccati, società di revisione consapevoli, banche partecipi, governi impreparati.
Quando sono così tanti gli attori coinvolti diventa difficile identificare un singolo colpevole, è il sistema che ha fallito. E allora, cosa fare, cambiarlo, sostituirlo con uno nuovo?
Difficile poter pensare di fare un punto zero. La gran parte del mondo produttivo gira attorno a tale sistema e stravolgerlo sarebbe impensabile.
Renderlo un po’ più etico però potrebbe già essere un punto di inizio. Si ma come?
In questo senso la finanza islamica può venire in aiuto al malandato capitalismo occidentale.
Si perché, in almeno due dei suoi principi fondamentali sulla quale si fonda il suo sistema, troviamo un antidoto al male che attanaglia la finanza mondiale: il gharar, che vieta gli investimenti in attività che comportino irragionevole incertezza ed ambiguità e il maisir, che vieta la speculazione.
Sono due principi semplici, quasi banali, che però se ci pensiamo bene, sono la vera causa della crisi più nera che il mondo moderno abbia mai conosciuto.
Ma due semplici frasi seppur ragionevoli non bastano a governare un sistema trasnazionale così complesso. E allora, come agire in concreto?
Anche qui la finanza islamica ha di che illuminare i finanzieri ed economisti occidentali.
La riba infatti, altro principio islamico che andrebbe ben analizzato, proibisce l’interesse frutto di una semplice rendita finanziaria che non sia correlato ad un’attività reale comportante un determinato livello di rischio.
Sparisce l‘idea di interesse legato al fattore temporale: io guadagno solo se investo in maniera efficiente, la creazione di nuova ricchezza non può dipendere dall’accumulo dl capitale.
L’utilizzo dell’interesse come forma di garanzia per il prestatore tende infatti ad allontanare il capitale investito dall’obiettivo reale dell’investimento.
La finanza islamica è fondata su un sistema di tracciabilità dei capitali che permette di collegare facilmente fonti ed impieghi evitando situazioni indecifrabili dovute alle asimmetrie informative tipiche del sistema occidentale. Il principio permeante è quello di rendere più snella è trasparente la funzione di intermediari finanziari, banche e mercati di capitali.
Nel sistema occidentale di oggi invece i miei risparmi possono essere utilizzati per attività di cui si conosce ben poco e la cui profittabilità può risultare spesso dubbia. Questo è in palese contrasto con l’idea stessa di finanza e con i principi alla base del libero mercato concorrenziale che dovrebbero garantire il successo delle iniziative più profittevoli.
Se è vero che il sistema di raccolta occidentale è assai efficiente e anche vero che tale flusso finanziario non viene gestito adeguatamente o è facilmente corruttibile.
E allora viene da domandarsi: è razionale avere un tale volume di raccolta di capitali se poi non si riesce a gestirli? Se questi capitali finiscono nelle tasche di pochi per sparire dalle tasche di tanti? Se imprese ritenute profittevoli falliscono nel giro di una settimana?
Non credo che tutto ciò sia sostenibile sia socialmente che economicamente.
Come ha colto perfettamente Carlo Azelio Ciampi in una sua recente intervista, serve, per ricominciare, un sistema più etico.
E per indurre comportamenti etici, l’unico modo è dotarsi di regole altrettanto valide.
Guardando anche a culture che sino a qualche giorno fa pensavamo non avessero nulla da insegnarci in ambito finanziario.
Fatima Edouhabi
www.etnica.biz, 15 ottobre 2008