L’ammissibilità di un’azione collettiva è descritta nell’articolato del D.Lgs. 198/2009, per cui laddove si verifichino atti di violazione, omissione e mancato adempimento da parte della P.A. e dei concessionari di servizi pubblici, si può ammettere una class action mirata a correggere un comportamento scorretto delle amministrazioni.
Nella fattispecie, è stata riconosciuta la sua validità visto che gli appellanti accusavano una prassi generalizzata di violazione dei termini procedimentali da parte delle Questure. La sentenza emessa, a questo punto, non interessa il singolo caso, ma dà delle indicazioni di massima affinché le amministrazioni pongano rimedio alla prassi di violazione del termine per la conclusione della procedura. Ovviamente la Corte esamina a fondo la questione, in modo tale di dare un tempo consono alla P.A. per emettere i provvedimenti richiesti, tenendo conto della adeguatezza delle risorse strumentali, finanziarie ed umane che quest’ultima ha a disposizione.
Nell’atto del ricorso, inoltre, gli appellanti chiedevano anche di ottenere una interpretazione unificata della giurisprudenza amministrativa su tutto il territorio nazionale per quanto riguarda il rilascio del permesso di soggiorno CE anche per i familiare del richiedente, anche se essi non hanno maturato il requisito ultraquinquennale di soggiorno regolare nel Paese. In questo caso, l’azione collettiva pubblica non può essere ammessa, perché un tale provvedimento risulterebbe invadente nei confronti del potere legislativo, unico di titolare della facoltà di interpretazione delle norme di legge.
In conclusione, il TAR Lazio ha chiesto all’amministrazione interessata a provvedere opportunamente, entro un anno dell’emissione della sentenza, a correggere la problematica dei termini di conclusione del procedimento per il rilascio del titolo di soggiorno in oggetto, tenendo conto dei limiti delle risorse già assegnate evitando, quindi, di incombere ulteriori oneri per la finanza pubblica.