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Consiglio di Stato VI Sez. Decisione n. 2592 del 2007 Extracomunitari – patteggiamento – diniego cds

Ai fini del rilascio della Carta di soggiorno per cittadini extracomunitari, il rapporto fra Stato e cittadino straniero esige e presuppone che l’utente non versi in una condizione preliminare, tale da suscitare allarme sociale ed implicito legittimo sospetto di possibili ricadute recidivanti. L’articolo 9 comma 3 (ora modificato dal d.lgs. n. 3 del 2007) nel selezionare le condizioni soggettive per potere aspirare alla stabile permanenza nel territorio nazionale, richiede l’assenza di precedenti per le ipotesi di reato ivi previste, e ciò a garanzia che le condizioni di ordine pubblico non ricevano aggravio per l’ingresso e permanenza nel territorio nazionale di soggetti che siano incorsi in violazioni della legge penale. A tal fine rileva anche la sentenza di condanna emessa ai sensi dell’articolo 444 del c.p.p. (c.d. patteggiamento) in quanto tale sentenza, conseguenza di un momento negoziale tra P.M. e imputato, non implica una minore responsabilità dell’imputato incidendo sul “quantum” della pena ma non certo, sul merito della sussistenza degli estremi della responsabilità penale che, ancorché con cognizione sommaria, è sempre accertata dal giudice

Consiglio di Stato

Sezione VI

Decisione 22 maggio 2007, n. 2592

Fatto e Diritto

1). Con la sentenza di estremi indicati in epigrafe il Tar per la Puglia, sede di Bari, Sez. II^, respingeva il ricorso proposto dal cittadino albanese R. F. avverso il decreto del Questore della Provincia di Bari Cat. A. 12/2004/Imm. n. 6/C.S. del 28.06.2004, recante il rifiuto di rilascio della carta di soggiorno, per essere il predetto straniero incorso con sentenza emessa il 24.07.2003 ai sensi dell’art. 444 c.p.p. in condanna a mesi dieci di reclusione per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e minacce aggravate, nonché a mesi due di arresto per porto abusivo di coltello di genere proibito.

Avverso la decisone del Tar per la Puglia il R. ha proposto atto di appello e, a confutazione delle conclusioni del primo giudice, ha dedotto:

– che erroneamente si è inteso equiparare la sentenza emessa con il rito del patteggiamento ad una sentenza di condanna in senso stretto, in assenza di un accertamento positivo e costitutivo della responsabilità dell’imputato ove, in particolare, si consideri che all’irrogazione della pena su consenso della parte non segue l’applicazione delle misure di sicurezza ed ogni effetto penale si estingue decorsi cinque anni;

– che l’Amministrazione di p.s. non doveva negare con carattere di automatismo il rilascio della carta di soggiorno, ma verificare in concreto la sussistenza degli estremi di pericolosità sociale ostativi al suo rilascio.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in resistenza.

2). L’appello è infondato e la sentenza gravata merita conferma.

2.1). L’art. 9, comma terzo, del d.lgs. n. 286/1998, nel testo vigente alla data di adozione dell’atto impugnato, individua come condizione ostativa al rilascio della carta di soggiorno l’ipotesi in cui nei confronti dello straniero “sia stato disposto il giudizio per taluni dei delitti di cui all’art. 380 nonché, limitatamente si delitti non colposi, all’art. 381, o pronunziata condanna anche non definitiva, salvo che abbia ottenuto la riabilitazione”.

Si tratta di norma che, nel selezionare le condizioni soggettive per potere aspirare alla stabile permanenza nel territorio nazionale, richiede l’assenza di precedenti per le ipotesi di reato ivi previste, e ciò a garanzia che le condizioni di ordine pubblico non ricevano aggravio per l’ingresso e permanenza nel territorio nazionale di soggetti che siano incorsi in violazioni della legge penale.

Se tale è la “ratio” della norma che , peraltro, agli effetti dell’applicazione della preclusione del rilascio della carta di soggiorno non richiede neanche la definitività della condanna e prende in considerazione anche l’ipotesi di solo inizio dell’azione penale, non vi è ragione di escludere dalla sua valenza precettiva i casi in cui la pena per i reati ivi previsti sia stata applicata con il rito di cui all’art. 444 c.p.p.

Anche la sentenza emessa nella forma processuale disciplinata dall’art. 444 accerta la responsabilità agli effetti della legge penale, pur se con peculiarità di rito.

La semplificazione del procedimento – che muove dal dato confessorio di richiesta di applicazione della pena da parte dell’imputato ed introduce un momento negoziale di prospettazione della sua entità – non sottrae tuttavia l’esito del processo alla potestà esclusiva dello Stato autorità di sanzionare l’illecito penale. Il momento c.d. negoziale investe, invero, il “quantum” della pena, ma non certo il merito della sussistenza degli estremi della responsabilità penale che, ancorché con cognizione sommaria, è sempre accertata dal giudice.

Quanto su esposto trova riscontro nella disciplina positiva dell’istituto in base alla quale l’applicazione della pena a seguito del c.d. patteggiamento avviene sempre su motivata valutazione da parte del giudice dell’insussistenza dei presupposti per addivenire ad una sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p. (perché il fatto non sussiste, l’imputato non lo ha commesso, il fatto non costituisce reato, ecc.) e previo accertamento della corretta qualificazione giuridica del fatto ascritto e delle circostanze ad esso afferenti, quali presupposti della formulazione della richiesta di applicazione negoziata della pena.

A mezzo del modello processuale delineato dall’art. 444 c.p.p. e segg. si perviene all’ascrizione dell’illecito penale ad un soggetto determinato, muovendo dall’ammissione di responsabilità dello stesso inquisito congiunta alla proposta dell’applicazione della pena in misura determinata, e lo stesso art. 445, primo comma, c.p.p. espressamente qualifica come “pronuncia di condanna” la sentenza che definisce il processo.

Pertanto l’inibitoria al rilascio della carta di soggiorno prevista dall’art. 9, comma terzo, del d.lgs. n. 286/1998 trova applicazione anche nei casi di pene inflitte, per i reati ivi presi in considerazione, con il rito di cui all’art. 444 c.p.p.

2.2). A differenza dei casi in cui dai fatti accertati in sede penale si debbano trarre conseguenze ulteriori agli affetti di altre disposizioni di legge (come avviene nei casi di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti per fatti ascritti in sede penale), ove ricorrano precedenti penali quali identificati dal richiamato art. 9 del d.lgs. n. 286/1998 la determinazione del Questore di segno negativo si configura come atto dovuto.

Ciò esclude, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, che la predetta Autorità debba procedere caso per caso alla valutazione delle pericolosità sociale dello straniero e della sussistenza di allarme sociale derivante per il suo soggiorno nel territorio dello Stato.

Né il criterio di automatismo quanto alla preclusione della permanenza in Italia recepito dall’art. 9, comma terzo, del d.lgs. n. 286/1998 si pone in contrasto con i diritti di libertà personale che risulterebbero, a dire dell’appellante, oggetto di irragionevole compressione, poiché dette prerogative non hanno carattere assoluto, ma devono bilanciasi con altri interessi di rilievo pubblico (nella specie il controllo dei flussi migratori nei loro effetti sulle condizioni di ordine e sicurezza pubblica), così che possono prevedersi limiti e condizioni che nella specie, assumendo e riferimento l’assenza in capo allo straniero di precedenti per reati di maggiore gravità, non si configurano né irragionevoli, né sproporzionati.

L’appello va , quindi, respinto.

Le spese del giudizio possono essere compensate fra le parti stante anche l’assenza di specifica attività difensiva da parte dell’Amministrazione intimata.

3). Il difensore dell’appellante ha prodotto istanza per la liquidazione del compenso per gratuito patrocinio corredata della delibera di ammissione del competente Ordine Professionale per il presente grado di giudizio.

L’art. 116 del d.P.R. n. 115/2002, con rinvio al precedente art. 82, rimette all’Autorità Giudiziaria la liquidazione dell’onorario e delle spese al difensore nei limiti dei “valori medi delle tariffe professionali vigenti”, tenuto conto dell’“impegno professionale”. L’art. 2, comma secondo, del d.l. n. 223/2006, convertito nella legge n. 248/2006, ha mantenuto fermo il riferimento alle tariffe professionali agli effetti della liquidazione di compensi per gratuito patrocinio.

In relazione alla natura della controversia ed all’impegno professionale richiesto ed applicato l’art. 130 del menzionato D.P.R. n. 115/2002, che dimezza i compensi spettanti ai difensori di soggetti ammessi al gratuito patrocinio, si configura congrua la liquidazione di euro 2000,00 per onorari; euro 620,00 per diritti; euro 340,00 per spese generali, oltre Iva e Cap dovuti per legge.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta:

– respinge l’appello in epigrafe.

– compensa fra le parti le spese del giudizio;

– liquida in favore dell’avv.to Giovanni D’Innella i corrispettivi per gratuito patrocinio indicati al punto 3) della motivazione;

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

 

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