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Corte Costituzionale, sent. 11 del 23 gennaio 2009, illegittimità costituzionale art. 9D.L.vo 286/98

Corte Costituzionale, sentenza n. 11 del 23 gennaio 2009, l’illegittimità costituzionale dell’art. 88 della legge n. 388/2000 e dell’art. 9, comma 1, del D.L.vo n. 286/1998.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 11 del 23 gennaio 2009, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 88 della legge n. 388/2000 e dell’art. 9, comma 1, del D.L.vo, nella parte in cui escludono la pensione di inabilità per gli stranieri non in possesso dei requisiti reddituali necessari per la carta di soggiorno.
Il ricorrente – nella qualità di tutore di un cittadino albanese legalmente soggiornante in Italia dal 2000, al quale è stato riconosciuto lo stato di invalidità totale e permanente con necessità di assistenza continua, in seguito ad un grave incidente stradale verificatosi nel 2003 – il 19 luglio 2005 aveva presentato domanda amministrativa per la concessione, in favore dell’interdetto, della pensione di inabilità e dell’indennità di accompagnamento. In seguito al rigetto di tale istanza, dovuto alla mancata titolarità della carta di soggiorno da parte dell’interessato, egli ha tempestivamente proposto ricorso ai sensi dell’art. 442 cod. proc. civ.
Il Tribunale di Prato, ha sollevato la presente questione di illegittimità costituzionale dell’art. 88 della legge n. 388/2000 e dell’art. 9, comma 1, del D.L.vo n. 286/1998, specificando di non poter risolvere il problema in via interpretativa.
Il Tribunale sottolinea che l’accoglimento della domanda del ricorrente è ostacolato soltanto dal mancato possesso, da parte dell’interessato, della carta di soggiorno, data la sussistenza sia del requisito sanitario, sia della condizione reddituale di cui all’art. 12, comma 3, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), e successive modificazioni, sia della legittima permanenza in Italia in base ad un permesso di soggiorno.
L’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) prevede, infatti, la necessità del possesso della carta di soggiorno affinché gli stranieri inabili civili possano fruire della pensione di inabilità e dell’indennità di accompagnamento.
Secondo il Tribunale di Prato, tuttavia tale normativa impugnata crea una disparità di trattamento tra stranieri e cittadini riguardo all’attribuzione delle suddette prestazioni assistenziali, laddove tra cittadini e stranieri legalmente soggiornanti in Italia vige il principio di eguaglianza.
La Corte Costituzionale riscontra, pertanto, la violazione, sotto un duplice profilo, dell’art. 3 Cost., sicché deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000 e dell’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 – quest’ultimo come modificato dall’art. 9, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189, e poi sostituito dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 3 del 2007 – nella parte in cui escludono che la pensione di inabilità, possa essere attribuita agli stranieri extracomunitari soltanto perché essi non risultano in possesso dei requisiti di reddito già stabiliti per la carta di soggiorno ed ora previsti, per effetto del d.lgs. n. 3 del 2007, per il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.

SENTENZA N. 11
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Giovanni Maria  FLICK        Presidente
– Francesco       AMIRANTE       Giudice
– Ugo             DE SIERVO         "
– Paolo           MADDALENA         "
– Alfio           FINOCCHIARO       "
– Alfonso         QUARANTA          "
– Franco          GALLO             "
– Luigi           MAZZELLA          "
– Gaetano         SILVESTRI         "
– Sabino          CASSESE           "
– Maria Rita      SAULLE            "
– Giuseppe        TESAURO           "
– Paolo Maria     NAPOLITANO        "
– Giuseppe        FRIGO             "
– Alessandro      CRISCUOLO         "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), e dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 9, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189, in relazione all’art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del d.l. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili), ed alla legge 11 febbraio 1980, n. 18 (Indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili), promosso dal Tribunale di Prato, nel procedimento civile vertente tra I. H. nella qualità di tutore di N. H. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) ed altri, con ordinanza del 2 aprile 2008 iscritta al n. 188 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2008.
    Visto l’atto di costituzione dell’INPS;
    udito nella camera di consiglio del 3 dicembre 2008 il Giudice relatore Francesco Amirante.


Ritenuto in fatto
    1.— Nel corso di una controversia in materia di assistenza obbligatoria, promossa da un cittadino albanese, il Tribunale di Prato ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), e dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 9, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189, in relazione all’art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del d.l. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili), ed alla legge 11 febbraio 1980, n. 18 (Indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili), nella parte in cui prevede la necessità del possesso della carta di soggiorno e della relativa condizione reddituale affinché gli stranieri inabili civili possano fruire della pensione di inabilità e dell’indennità di accompagnamento.
    Premette, in fatto, il remittente che il ricorrente – nella qualità di tutore di un cittadino albanese legalmente soggiornante in Italia dal 2000, al quale è stato riconosciuto lo stato di invalidità totale e permanente con necessità di assistenza continua, in seguito ad un grave incidente stradale verificatosi nel 2003 – il 19 luglio 2005 aveva presentato domanda amministrativa per la concessione, in favore dell’interdetto, della pensione di inabilità e dell’indennità di accompagnamento. In seguito al rigetto di tale istanza, dovuto alla mancata titolarità della carta di soggiorno da parte dell’interessato, egli ha tempestivamente proposto ricorso ai sensi dell’art. 442 cod. proc. civ. per sentir condannare il Comune di Prato, nel contraddittorio con l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e il Ministero dell’economia e delle finanze, alla corresponsione delle suddette provvidenze, previa disapplicazione del citato art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000 (perché in contrasto con i regolamenti CE n. 1408 del 1971, n. 574 del 1972, n. 859 del 2003 e n. 647 del 2005, nonché con gli artt. 6 e 8 della Convenzione OIL n. 97 del 1949, con l’art. 10 della Convenzione OIL n. 143 del 1975, con l’art. 14 della CEDU e con l’art. 1 del primo protocollo addizionale di tale ultima Convenzione), ovvero previo accoglimento dell’eccezione di illegittimità costituzionale della norma stessa.
    Il giudice a quo, dopo aver precisato che gli invocati regolamenti comunitari sono inapplicabili nella specie, in quanto la vicenda presenta legami esclusivamente tra un Paese terzo e un solo Stato membro della UE e non già tra due Stati membri dell’Unione, e dopo aver escluso di poter procedere alla disapplicazione della normativa interna per effetto del prospettato contrasto con le Convenzioni OIL e la CEDU, ha sollevato la presente questione, specificando di non poter risolvere il problema in via interpretativa.
    Quanto alla rilevanza, il Tribunale di Prato sottolinea che l’accoglimento della domanda del ricorrente è ostacolato soltanto dal mancato possesso, da parte dell’interessato, della carta di soggiorno, data la sussistenza sia del requisito sanitario, sia della condizione reddituale di cui all’art. 12, comma 3, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), e successive modificazioni, sia della legittima permanenza in Italia in base ad un permesso di soggiorno.
    Con riguardo al merito della questione, il remittente sostiene che la normativa censurata, in primo luogo, si pone in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in quanto, discriminando gli stranieri invalidi legittimamente residenti nel nostro Paese rispetto ai cittadini italiani invalidi, vulnera l’art. 14 della CEDU e l’art. 1 del relativo Protocollo addizionale, i quali, secondo l’interpretazione della Corte europea per la tutela dei diritti dell’uomo, obbligano lo Stato italiano a legiferare in materia di prestazioni sociali senza porre alcuna differenziazione di trattamento basata sulla nazionalità delle persone.
    Tale discriminazione, ad avviso del giudice a quo, comporta anche la violazione degli artt. 2 e 3 Cost., dal momento che la previsione, per la suddetta categoria di stranieri, di un trattamento deteriore per poter fruire delle provvidenze previste dalle leggi n. 118 del 1971 e n. 18 del 1980 si pone in contraddizione non soltanto con le logiche solidaristiche, ma soprattutto con la specifica ratio di sostentamento propria delle provvidenze medesime.
    Infine, viene prospettato il contrasto con il principio di razionalità di cui all’art. 3 Cost., derivante dalla palese irragionevolezza dell’adozione di un criterio di discrimine che determina l’esclusione dai suddetti benefici – finalizzati ad alleviare la situazione di bisogno dei soggetti totalmente inabili – proprio di chi ne è più meritevole, in contraddizione con quanto è previsto per i cittadini italiani, per i quali l’attribuzione della pensione di inabilità presuppone il mancato superamento di un certo limite reddituale, mentre per l’indennità di accompagnamento si prescinde dalla situazione reddituale del beneficiario e della sua famiglia.
    2.— Si è costituito l’INPS, chiedendo la dichiarazione di infondatezza della questione.
    L’Istituto ricorda che l’art. 41 del d.lgs. n. 286 del 1998 aveva previsto per gli stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno per durata non inferiore all’anno l’equiparazione ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e prestazioni di assistenza sociale, incluse quelle previste in favore di ciechi, sordomuti ed invalidi civili. Successivamente, l’art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000, ha stabilito che le provvidenze economiche in favore dei minorati civili spettano soltanto agli stranieri titolari di carta di soggiorno, mentre nei confronti degli stranieri titolari di permesso di soggiorno è fatto salvo esclusivamente il godimento delle altre prestazioni sociali, ivi compreso l’assegno di maternità. In tal modo il legislatore è intervenuto, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge n. 388 del 2000, nel senso di restringere le condizioni di accesso a determinate prestazioni assistenziali e di far venir meno, sulla base di un chiaro parametro di riferimento, l’equiparazione degli stranieri titolari di permesso di soggiorno ai cittadini italiani (Consiglio di Stato, parere n. 76/2001 del 28 febbraio 2001).
    Tale scelta, secondo l’INPS, non sarebbe di per sé incostituzionale, in quanto, come chiarito da questa Corte in occasione dell’esame di una fattispecie analoga a quella attuale, al legislatore è consentito dettare norme che modificano in senso meno favorevole la disciplina dei rapporti di durata (sentenza n. 324 del 2006) e, quindi, mutare i requisiti per la percezione delle prestazioni previdenziali o assistenziali, tanto più che lo stesso fluire del tempo costituisce un elemento idoneo a giustificare l’applicazione di trattamenti diversi, in differenti momenti temporali, a soggetti appartenenti alla medesima categoria.
    Peraltro, con riguardo alle prestazioni previdenziali vi è una totale equiparazione tra il trattamento dei cittadini della UE e i lavoratori extracomunitari, mentre il fatto che ciò non si verifichi per le provvidenze di natura assistenziale – quali sono quelle in argomento – è dovuto principalmente all’esigenza di evitare il c.d. turismo sociale: finalità che, del tutto ragionevolmente, consente di differenziare le suddette prestazioni assumendo come criterio quello di favorire i soggetti che hanno una maggiore stabilità di residenza nel nostro Paese, tanto più che l’art. 80, comma 19, oggetto di contestazione, è stato dettato per evidenti finalità di contenimento della spesa pubblica.
    Nella stessa logica, del resto, il legislatore, con il recente art. 20, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), ha stabilito che, a decorrere dal 1° gennaio 2009, l’assegno sociale «è corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano legalmente soggiornato, in via continuativa, per almeno cinque anni nel territorio nazionale» (termine portato a dieci anni dalla legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133).
    Né va, infine, omesso di considerare che non soltanto non viene in considerazione l’applicazione dei regolamenti comunitari invocati dal ricorrente, ma che neppure nell’ambito della CEDU e del relativo primo Protocollo addizionale sono rinvenibili norme di rango costituzionale tali da imporre l’equiparazione dei cittadini extracomunitari ai cittadini della UE ai fini dell’attribuzione delle provvidenze economiche di assistenza sociale.


Considerato in diritto
    1.— Il Tribunale di Prato ha sollevato, in riferimento agli articoli 117, primo comma, 2 e 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale «del combinato disposto dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), e dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’articolo 9, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189, in relazione all’articolo 12 della legge 30 marzo 1971, n.118 (Conversione in legge del d.l. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili), e alla legge 11 febbraio 1980, n.18».

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