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Corte Costituzionale Sentenza n. 331 del 12 dicembre 2011 depositata il 16 dicembre 2011 Illegittimità dell’articolo 12, comma 4-bis T.U. immigrazione (d.lgs. 286 del 1998)

La Corte Costituzionale, con la recente sentenza n. 331 del 12 dicembre 2011, ha dichiarato illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 4-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (T.U. sull’immigrazione), aggiunto della legge 15 luglio 2009, n. 94, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati previsti dal comma 3 del medesimo articolo, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.

 

L’articolo 12 che al comma 3, prevede il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, punendo chi “in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente è punito con la reclusione da cinque a quindici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona nel caso in cui: a) il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone; b) la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale; c) la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale; d) il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti; e) gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti
I Giudici delle leggi, nel motivare le ragioni che determinano l’illegittimità della norma, affermano che “L’eterogeneità delle fattispecie concrete riferibili al paradigma punitivo astratto non consente, dunque, di enucleare una regola generale, ricollegabile ragionevolmente a tutte le «connotazioni criminologiche» del fenomeno, secondo la quale la custodia cautelare in carcere sarebbe l’unico strumento idoneo a fronteggiare le esigenze cautelari.
Nel richiamare poi alcune pronunce precedenti (Sentenze n. 231 e n. 164 del 2011, n. 265 del 2010), la Corte ribadisce che “la gravità astratta del reato, considerata in rapporto alla misura della pena o alla natura dell’interesse protetto, è significativa ai fini della determinazione della sanzione, ma inidonea a fungere da elemento preclusivo alla verifica del grado delle esigenze cautelari e all’individuazione della misura concretamente idonea a farvi fronte; mentre il rimedio all’allarme sociale causato dal reato non può essere annoverato tra le finalità della custodia cautelare, costituendo una funzione istituzionale della pena, perché presuppone la certezza circa il responsabile del delitto che ha provocato l’allarme”.

Le esigenze cautelari, vanno quindi rintracciate caso per caso, non potendo avere legittimazione una presunzione assoluta, ma bensì relativa, di adeguatezza delle misure adottabili, compatibile alla fattispecie concreta.
A seguito della pronuncia della Corte, il Giudice penale nella valutazione delle esigenza cautelari, in presenza comunque di gravi indizi di colpevolezza, dovrà stabilire in relazione al caso concreto se tali esigenze possano essere soddisfatte con altre misure piuttosto che con la misura della custodia cautelare in carcere.

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