Ancora una volta la Cassazione si è espressa accogliendo il ricorso di un cittadino extracomunitario che era stato colpito da un provvedimento di espulsione il quale, però, non era stato tradotto nella lingua araba ne tanto meno in una lingua c.d. veicolare, ossia inglese, francese o spagnolo.
Secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte “la traduzione in lingua conosciuta dalla destinatario è requisito formale indispensabile, a pena di nullità, della comunicazione del decreto di espulsione”. Questo principio è derogabile da parte delle Autorità italiane solo nel caso in cui sia impossibile effettuare la traduzione per indisponibilità di traduttori, alla condizione che tale impossibilità sia comunque indicata nel provvedimento di espulsione stesso.
Il decreto di espulsione, pertanto, è valido ed efficace solo se scritto nella lingua d’origine del cittadino extracomunitario e solo in caso di impossibilità (indicata nel provvedimento di espulsione) deve essere tradotto in inglese, francese oppure spagnolo.
Neanche la dichiarazione del cittadino espulso resa all’atto della notifica dell’espulsione di essere a conoscenza del contenuto del provvedimento, può essere considerata ammissione della conoscenza della lingua italiana (o di una delle lingue veicolari in cui il provvedimento sia stato tradotto) e non può quindi, sostituire la traduzione mancante.