3 giugno 2013 – Il lavoratore ha fatto appello al decreto di diniego emesso dalla Prefettura di Sondrio adducendo due motivazioni. La prima era basata sul fatto che l’atto di diniego del permesso di soggiorno non sia stato tradotto nella lingua dello straniero. Con la seconda ha contestato il fatto che l’Amministrazione non ha emesso un preavviso di rigetto dell’istanza presentata (notifica ai sensi dell’art. 10bis della legge 241/90). Inoltre, la difesa ha contrastato il parere della P.A. dicendo che il datore di lavoro ha pagato il contributo forfettario di € 1000 oltre ai 3 versamenti effettuati all’Inps per i contributi dovuti per il rapporto di lavoro domestico.
I giudici, nella fattispecie, hanno dato ragione alle Autorità basandosi sul seguente ragionamento. In merito alla traduzione dell’atto, la giurisprudenza costante evidenzia che la mancata traduzione non vizia l’atto stesso, semmai può incidere sulla decorrenza dei termini per l’impugnazione. La traduzione è obbligatoria solo per il provvedimento di espulsione, ai sensi dell’art. 13, comma 7 del d.lgs. 286/98. Per la seconda motivazione, invece, il Collegio ha ritenuto che in base agli accertamenti effettuati dalla Questura sulla vera esistenza del rapporto di lavoro, anche un avviso di rigetto della pratica non avrebbe comunque cambiato il parere alla base del diniego poiché il rapporto di lavoro sul quale si era fondata l’istanza era risultato fittizio.