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TAR Lazio Sentenza 24 aprile 2008 Legittimo diniego rinnovo permesso attesa occupazione

TAR Lazio Sezione II Sentenza del 24 aprile 2008 n. 3541.
E’ fondato il diniego di rinnovo del premesso di soggiorno per attesa occupazione. Il provvedimento impugnato è stato adottato sul presupposto che il ricorrente è stato già titolare del permesso di soggiorno per attesa occupazione ed ha, quindi, già usufruito del periodo previsto dalla legge (6 mesi) per la ricerca di una nuova occupazione. Lo straniero non ha dimostrato di avere i requisiti richiesti e previsti dalla legge per ottenere il rinnovo, in applicazione dell’art. 37 del D.P.R. n. 334/2004, cioè un nuovo impiego lavorativo con relativo contratto di soggiorno.
L’istanza di rinnovo del permesso è stata respinta in quanto il permesso di soggiorno per attesa occupazione di cui al citato art. 37, comma 5, del D.P.R. n. 394/1999, come modificato dall’art. 33 del D.P.R. n. 334/2004, non è rinnovabile, ma entro la sua scadenza massima di sei mesi può sfociare o nella concessione di un nuovo permesso di soggiorno per lavoro subordinato in osservanza delle disposizioni dell’art. 36 bis dello stesso D.P.R. n. 394/1999, ovvero nell’obbligo per lo straniero di lasciare il territorio nazionale.
L’Amministrazione, pertanto, preso atto che il ricorrente aveva già usufruito del permesso di soggiorno per attesa occupazione per il termine massimo di sei mesi e che non aveva prodotto un contratto di soggiorno per lavoro subordinato ha respinto la richiesta di rinnovo del medesimo.
Alla luce di ciò, pertanto, è fondato il provvedimento adottato dalla Questura, per assenza dei presupposti di legge.

REPUBBLICA ITALIANA 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL  LAZIO (Sezione  II quater) 
ha pronunciato la seguente 
SENTENZA

sul ricorso n. 6078/2006, proposto da SABET Mohamed Sobhy Abdel Hamid, nato ad Alessandria d’Egitto (Egitto) il 17.8.1967, rappresentato  e difeso dall’avv. Massimo Capuano ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma (Ostia Lido), Via Quinto Aurelio Simmaco, n. 7;
contro
la QUESTURA di Roma, con costituzione in giudizio del MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è legalmente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
per l’annullamento
del decreto del Questore di Roma del 16.3.2006, notificato il 6.4.2006, con il quale è stata rifiutata la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per attesa occupazione; nonché di ogni altro atto precedente e successivo.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione  in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore all’udienza pubblica del 26 marzo 2008 il consigliere Renzo CONTI;
Udito ai preliminari, l’avv. A. Pietroforte, delegato dall’avv. M. Capuano per il ricorrente;
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
FATTO
Con il ricorso in trattazione, notificato il 31 maggio 2006 e depositato il successivo 22 giugno, il ricorrente impugna il decreto indicato in epigrafe, deducendo al riguardo i seguenti motivi, così dal medesimo paragrafati:
1) eccesso di potere per erronea applicazione del D.Lgs. 25.7.1998, n. 286;
2) nullità e/o irregolarità del provvedimento per erronea indicazione della normativa applicata;
3) eccesso di potere per mancanza di motivazione, per travisamento dei fatti, per disparità di trattamento;
4) vizio del procedimento per mancata comparazione tra l’interesse privato e l’interesse pubblico; opportunità di merito.
Si è costituito per resistere il Ministero dell’Interno.
La causa è stata quindi chiamata e posta in decisione all’udienza pubblica del 26 marzo 2008.
DIRITTO
Il ricorso è volto ad ottenere l’annullamento del provvedimento della Questura di Roma del 16.3.2006, notificato il 6.4.2006, con il quale è stata respinta l’istanza del ricorrente del 1.7.2005 volta ad ottenere il rinnovo del premesso di soggiorno per attesa occupazione rilasciato il 12.10.2004 e scaduto il 12.4.2005.
Il provvedimento risulta adottato, sui presupposti che: a) l’odierno ricorrente risulta già titolare del permesso di soggiorno per attesa occupazione ed ha, quindi, già usufruito del pregresso periodo di attesa occupazione dal 12.10.2004 al 12.4.2005 al fine di trovare un impiego lavorativo come previsto dall’art. 22, comma 11, del D.Lgs. n. 286/1998; b) non ha allegato un contratto di soggiorno, ma unicamente una dichiarazione di un datore di lavoro che si impegna ad assumerlo e non risulta avere diritto ad un permesso di soggiorno ad altro titolo.
Sulla base di tali presupposti è stato ritenuto che il ricorrente non avesse i requisiti richiesti e previsti dalla legge per ottenere il rinnovo, in applicazione dell’art. 37 del D.P.R. n. 334/2004, il cui contenuto è analiticamente richiamato nell’atto gravato.
Con il primo motivo si deduce che il permesso di soggiorno  ben avrebbe potuto essere rilasciato stante la mancanza di condanne penali ed il suo inserimento nella realtà sociale dello Stato italiano.
La censura è inconferente, in quanto, come emerge da quanto sopra richiamato, l’impugnato diniego non è stato adottato per profili attinenti alla pericolosità sociale, ma unicamente per assenza dei presupposti per il rinnovo di un permesso di soggiorno già rilasciato per attesa occupazione.
Con il secondo motivo si deduce l’erronea applicazione dell’art. 37 del D.P.R. n. 334/2004 richiamato dall’Amministrazione, sull’assunto che detta disposizione riguarderebbe casi particolari di ingresso per lavoro quali i dirigenti ed il personale in possesso di conoscenze particolari, nell’ambito dei quali non rientra la posizione del ricorrente.
La censura e palesemente infondata in quanto, contrariamente a quanto erroneamente ritenuto dal ricorrente, la norma applicata dall’Amministrazione non è l’art. 37 del D.P.R. 18.10.2004, n. 334, ma l’art. 37 del D.P.R. 31.8.1999, n. 394, nel testo sostituito dall’art. 33 del citato D.P.R. n. 334/2004.
In altri termini nel richiamare sinteticamente l’art. 37 del D.P.R. n. 334/2004, l’Amministrazione chiaramente intendeva riferirsi all’art. 37 dell’originario regolamento di cui all’art. 394/1999, nel testo sostituito appunto dal menzionato nuovo regolamento dettato con D.P.R. n. 334/2004.
Né possono sussistere dubbi sulla circostanza di cui sopra, atteso che l’Amministrazione ha comunque richiamato il contenuto del predetto art. 37.
Detto articolo, intitolato “Iscrizione nelle liste o nell’elenco anagrafico finalizzata al collocamento del lavoratore licenziato, dimesso o invalido”, al comma 5,  come correttamente richiamato dall’amministrazione,  prevede che   “Quando a norma delle disposizioni del testo unico e del presente articolo, il lavoratore straniero ha diritto a rimanere nel territorio dello stato oltre il termine fissato dal permesso di soggiorno, la questura rinnova il permesso medesimo, previa documentata domanda dell’interessato, fino a sei mesi dalla data di iscrizione nelle liste di collocamento di cui al comma 1 ovvero di registrazione nell’elenco di cui al comma 2. Il rinnovo del permesso è subordinato all’accertamento, anche in via telematica, dell’inserimento dello straniero nelle liste di cui al comma 1 o della registrazione nell’elenco di cui al comma 2. Si osservano le disposizioni dell’art. 36 bis” (le quali prevedono che per l’instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro deve essere sottoscritto un nuovo contratto di soggiorno).
Al successivo sesto comma si prevede poi che “Allo scadere del permesso di soggiorno, di cui al comma 5, lo straniero deve lasciare il territorio dello Stato, salvo risulti titolare di un nuovo contratto di soggiorno per lavoro ovvero abbia diritto al permesso di soggiorno ad altro titolo, secondo la normativa vigente”.
Alla stregua delle predette disposizioni il permesso di soggiorno per attesa occupazione di cui al citato art. 37, comma 5, del D.P.R. n. 394/1999, nel testo sostituito dall’art. 33 del D.P.R. n. 334/2004, non è rinnovabile, ma entro la sua scadenza massima di sei mesi può sfociare o nella concessione di un nuovo permesso di soggiorno per lavoro subordinato  in osservanza delle disposizioni dell’art. 36 bis dello stesso D.P.R.n. 394/1999 (inserito dall’art. 32 del D.P.R. n. 334/2004), ovvero nell’obbligo per lo straniero di lasciare il territorio nazionale (cfr. Cons. St., VI, 22.5.2007, n. 2594).
Il menzionato art. 37, inoltre, è pienamente conforme alla previsione di cui all’art. 22, comma 11, del D.Lgs. 25.7.1998, n. 286, parimenti richiamato dall’Amministrazione, secondo il quale “La perdita del posto di lavoro non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno…Il lavoratore straniero in possesso del permesso di soggiorno per lavoro subordinato che perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, può essere iscritto nelle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque,…per un periodo non inferiore a sei mesi”, inteso questo come termine massimo.
Con il citato art. 22, il legislatore ha inteso assicurare al lavoratore straniero che ha perso il proprio lavoro, in primo luogo, la possibilità di permanere nel territorio nazionale per il periodo di validità del permesso di soggiorno, in attuazione della previsione di cui al primo periodo della richiamata disposizione, secondo la quale la sopravvenuta disoccupazione non comporta la revoca del titolo rilasciato, ed in secondo luogo, nell’ipotesi in cui il periodo di residua validità del permesso di soggiorno sia inferiore a sei mesi, la possibilità di beneficiare comunque di un congruo lasso di tempo, individuato dal legislatore nel termine massimo di sei mesi, per la ricerca di una nuova occupazione.
Alla stregua della richiamata disciplina l’Amministrazione, preso atto che il ricorrente aveva già usufruito del permesso di soggiorno per attesa occupazione per il termine massimo di sei mesi e che non aveva prodotto un contratto di soggiorno per lavoro subordinato ha respinto la richiesta di rinnovo del medesimo.
Con il terzo motivo il ricorrente contesta l’inesistenza di un contratto di soggiorno, sostenendo di essere impiegato presso l’Associazione culturale “La Taverna del Sole” con mansioni di addetto alle pulizie e deduce altresì il vizio di difetto di motivazione.
Il motivo è infondato con riferimento ad entrambi i profili.
Quanto all’asserita esistenza di un contratto di lavoro, la censura è infondata, in quanto, tale assunto non risulta in alcun modo dimostrato, essendosi il ricorrente limitato a depositare, una dichiarazione del titolare dell’Associazione Culturale “Good Fellah” volta ad evidenziare una mera intenzione di assunzione, nonché la certificazione attestante la sua iscrizione nelle liste del collocamento.
Come si è già espresso la sezione (v. sentenza 27.6.2007, n. 5818), dal cui orientamento non sussistono ragioni per discostarsi, infatti, anche nel processo amministrativo vale il principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 cod. civ., secondo il quale spetta al ricorrente fornire la dimostrazione dei fatti posti a fondamento della propria domanda. Lo stesso principio risulta mitigato nel menzionato processo unicamente nell’ipotesi in cui il ricorrente non abbia la disponibilità delle prove, essendo queste nell’esclusivo possesso dell’amministrazione. In tal caso, infatti, è sufficiente che il ricorrente fornisca un principio di prova.
Nella specie, invece, la prova della esistenza dell’asserito contratto di lavoro era nella piena disponibilità della parte ricorrente, che aveva, pertanto, l’onere di provare il proprio assunto.
Quanto alla infondatezza della censura di difetto di motivazione, è sufficiente evidenziare che i presupposti di fatto e di diritto sopra richiamati costituiscono adeguata e chiara motivazione delle ragioni per le quali l’Amministrazione si è determinata negativamente.
Ugualmente infondato è il quarto motivo, con il quale si lamenta che la Questura di Roma non avrebbe provveduto alla comparazione dell’interesse privato con quello pubblico.
Ciò nella considerazione che, come in precedenza evidenziato, le ragioni del diniego non attengono a valutazioni discrezionali dell’amministrazioni, quali potrebbero essere quelle relative alla pericolosità sociale.
Al contrario, l’Amministrazione è pervenuta all’adozione dell’impugnato diniego sulla base di puntuali disposizioni che precludevano in maniera vincolata il rilascio del permesso di soggiorno, rispetto alle quali non era richiesta alcuna comparazione dell’interesse privato con quello pubblico, essendo stata questa già effettuata dal legislatore.
In conclusione e per  quanto sopra argomentato il ricorso risulta infondato in ordine a tutte le censure dedotte e va, conseguentemente, respinto.
Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio, ivi compresi diritti ed onorari.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sez. II quater, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 6078/2006 indicato in epigrafe, lo respinge.
Spese, diritti e onorari, compensati.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, il 26 marzo 2008, in Camera di Consiglio, con l’intervento dei magistrati:
Lucia TOSTI – Presidente
Renzo CONTI  – Consigliere, estensore
Stefania SANTOLERI  – Consigliere
IL PRESIDENTE _________________________________
L’ESTENSORE   _________________________________

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