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TAR Lazio Sentenza 27 giugno 2008 Legittimo negare emersione lavoro se provvedimento espulsione

TAR Lazio, Roma, Sezione II Quater, Sentenza n. 6318 del 27 giugno 2008.
E’ legittimo il diniego di emersione dal lavoro irregolare di un cittadino straniero, qualora a suo carico sia stato emesso un provvedimento di espulsione.
L’art. 33, comma 7, della legge 30.7.2002, n. 189 richiamato nel provvedimento impugnato, infatti, dispone che la legalizzazione-emersione del lavoro irregolare dei cittadini extracomunitari prevista nello stesso articolo non è applicabile a coloro “a) nei confronti dei quali sia stato emesso un provvedimento di espulsione…”; “b) che risultino segnalati …ai fini della non ammissione nel territorio dello Stato”.
Per quanto riguarda poi l’obbligo di dare comunicazione dell’avvio del procedimento (d’ufficio) di cui all’art. 7 della legge n. 241/1990, ovvero del preavviso di un provvedimento negativo ai sensi dell’art. 10 bis della stessa legge (nell’ipotesi di procedimenti ad iniziativa di parte, quale quello di specie), contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, tale obbligo non rileva ex se, in quanto non può essere applicato meccanicamente o formalisticamente, e non configura sempre e comunque un vizio di illegittimità del provvedimento conclusivo.
Ciò anche in applicazione del principio di dequotazione dei vizi formali del procedimento amministrativo non incidenti sul contenuto sostanziale del provvedimento, recepito dall’art. 21-octies della legge n. 241/1990 (introdotto dall’art. 14 della legge n. 15/2005), secondo il quale “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato”.
Nella specie, la palese infondatezza della censura di inapplicabilità dell’art. 33, comma 7, lett. a) e b) della legge 189/2002, relega su un piano esclusivamente formale quella in esame, atteso che, come evidenziato nell’impugnato provvedimento, l’esistenza di un provvedimento di espulsione e la segnalazione in ambito Schengen precludeva in assoluto all’Amministrazione già l’accoglimento dell’istanza di primo permesso di soggiorno e, quindi, quella di rinnovo, circostanza questa non contestata da parte ricorrente.
Il provvedimento negativo dell’Amministrazione ha natura vincolata, rispetto al quale, pertanto, l’omessa comunicazione del preavviso di diniego non è idonea a determinare l’illegittimità dello stesso, in applicazione del principio di dequotazione di cui sopra.
Inammissibile per genericità risulta poi l’ulteriore censura di violazione dei principi comunitari in materia di imparzialità, di proporzionalità, di accesso, di obbligo di motivazione e di termine ragionevole nel quale le pubbliche amministrazioni debbono pronunciarsi, non essendo state in alcun modo precisate le ragioni per le quali l’impugnato provvedimento avrebbe violato i predetti principi comunitari.

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL  LAZIO (Sezione  II quater) 
ha pronunciato la seguente ANNO 2008

SENTENZA

sul ricorso n. 1901/2006, proposto da HYSENAJ Kreshnik, nato in Albania il 25.1.1982, rappresentato e difeso dall’avv. Andrea Miroli e domiciliato ex lege (art. 35, secondo comma R.D. 26.6.1924 n. 1054) presso la Segreteria di questo T.A.R.;
contro
il MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è legalmente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
la QUESTURA di Roma, in persona del Questore in carica, non costituitasi in giudizio;
per l’annullamento
previa sospensione cautelare:
– del decreto del Questore di Roma del 24.11.2005, con il quale è stata respinta l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno presentata dal ricorrente in data 8.10.2004 presso il Commissariato P.S. di Civitavecchia;
– di ogni altro provvedimento presupposto, conseguente ed accessorio in qualunque modo allo stesso connesso.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione  in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore all’udienza pubblica dell’11 giugno 2008 il consigliere Renzo CONTI;
Uditi, ai preliminari, l’avv. S. Teveroni, su delega dell’avv. A. Miroli, per il ricorrente, e l’avv. M. Borgo per il Ministero dell’Interno;
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
FATTO
Con il ricorso in trattazione, notificato il 6 febbraio 2006 e depositato il successivo 2 marzo, il ricorrente espone:
– di essere titolare di permesso di soggiorno n. SRM506252 della Questura di Roma, ottenuto previa dichiarazione di emersione del lavoro irregolare datata 3.10.2002;
– che, in data 8.10.2004, presentava presso il Commissariato di P.S. di Civitavecchia istanza di rinnovo del predetto permesso di soggiorno,
– che in data 9.12.2005 si vedeva notificare l’impugnato decreto.
Ritenendo detto provvedimento illegittimo, ne ha chiesto l’annullamento, previa sospensione, deducendo al riguardo i seguenti motivi, così dal medesimo ricorrente paragrafati:
1) violazione delle norme sul giusto procedimento (L.n. 241/1990); violazione dei precetti costituzionali (art. 97 della Costituzione); violazione dei principi dell’ordinamento comunitario;
2) violazione e/o falsa applicazione di legge (art. 33, comma 7, lett. a) e b) della legge n. 189/2002) in relazione al combinato disposto con l’art. 11 disp. sulla legge in generale; eccesso di potere.
Si è costituito per resistere il Ministero dell’Interno.
Con ordinanza collegale n. 1899/2006, l’istanza cautelare è stata respinta.
La causa è stata quindi chiamata e posta in decisione all’udienza pubblica dell’11 giugno 2008.
DIRITTO
Il ricorso è volto ad ottenere l’annullamento del decreto del Questore di Roma del 24.11.2005, che si assume notificato il 9.12.2005, con il quale è stato negato al ricorrente il rinnovo del permesso di soggiorno n. SRM506252, ottenuto usufruendo della legalizzazione- emersione di cui all’art. 33 della legge n. 189/2002.
Il provvedimento è stato adottato sui presupposti che l’odierno ricorrente: a) con le generalità di Hiseni Selfo nato in Albania il 28.1.1982, era stato espulso con decreto del Prefetto di Roma del 18.2.2002, eseguito in pari data; b) è rientrato clandestinamente nel territorio nazionale il 10.6.2002 senza l’autorizzazione al reingresso di cui all’’art. 13, comma 13 e all’art. 4, comma 6, del D.Lgs. n. 286/1998;  c) è segnalato quale persona inammissibile in ambito Shenghen da parte dell’Italia in relazione al predetto accompagnamento alla frontiera.
Sulla base di tali presupposti l’Amministrazione ha ritenuto che il medesimo non avesse i requisiti per l’ingresso ed il soggiorno già all’atto dell’istanza di primo soggiorno, in applicazione dell’art. 33, comma 7, lett. a) e b) della legge n. 189/2002.
Va preliminarmente trattato, stante la sua natura sostanziale, il secondo motivo, con il quale il ricorrente deduce la violazione dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, sull’assunto che l’art. 33, comma 7, lett. a) e b) della legge n. 189/2002, non potrebbe applicarsi al caso di specie, in quanto il provvedimento di espulsione, preso a presupposto per l’applicazione delle predette disposizioni, sarebbe anteriore all’entrata in vigore delle stesse.
Il motivo è infondato.
Come già recentemente precisato dalla sezione (cfr. sentenza n. 5358 del 30.5.2008), infatti, la circostanza che il provvedimento di espulsione del 18.2.2002 sia anteriore all’entrata in vigore delle predette disposizioni non precludeva all’Amministrazione di applicarle, atteso che, trattandosi di disciplina di sanatoria, è evidente che la stessa non poteva che riferirsi ai provvedimenti di espulsione anteriori all’entrata in vigore delle medesime disposizioni.
L’art. 33, comma 7, della legge 30.7.2002, n. 189 richiamato nel provvedimento impugnato, infatti, dispone che la legalizzazione- emersione del lavoro irregolare dei cittadini extracomunitari prevista nello stesso articolo non è applicabile a coloro “a) nei confronti dei quali sia stato emesso un provvedimento di espulsione…”; “b) che risultino segnalati …ai fini della non ammissione nel territorio dello Stato”.
In altri termini, non si tratta di applicazione retroattiva delle menzionate disposizioni, ma unicamente dell’inapplicabilità della legalizzazione- emersione nei confronti di quei cittadini extracomunitari che si trovino nelle condizioni ivi previste.
Aderendo alla tesi del ricorrente, invero, le stesse non potrebbe mai trovare applicazione.
Può passarsi alla trattazione del primo motivo, con il quale il ricorrente lamenta la formale violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990, sull’assunto che illegittimamente l’Amministrazione non gli avrebbe previamente comunicato le ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza di rinnovo.
Il motivo è infondato.
Come si è espressa ripetutamente la giurisprudenza (cfr. Cons.St., VI, 22.4.2008, n. 1844; id., IV, 11.4.2007), l’obbligo di dare comunicazione dell’avvio del procedimento (d’ufficio) di cui all’art. 7 della legge n. 241/1990, ovvero del preavviso di un provvedimento negativo ai sensi dell’art. 10 bis della stessa legge (nell’ipotesi di procedimenti ad iniziativa di parte, quale quello di specie), contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non rileva ex se, in quanto non può essere applicato meccanicamente o formalisticamente, nel senso, cioè, che l’omissione delle menzionate attività partecipative costituisca sempre e comunque un vizio di illegittimità del provvedimento conclusivo.
Ciò, come ulteriormente precisato dalla recentissima giurisprudenza (cfr. Cons.St., VI, 17.1.2008, n. 94), condivisa dal Collegio, in applicazione del principio di dequotazione dei vizi formali del procedimento amministrativo non incidenti sul contenuto sostanziale del provvedimento, recepito dall’art. 21-octies della legge n. 241/1990 (introdotto dall’art. 14 della legge n. 15/2005), secondo il quale “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato”.
Nella specie, la palese infondatezza della censura di inapplicabilità dell’art. 33, comma 7, lett. a) e b) della legge 189/2002, relega su un piano esclusivamente formale quella in esame, atteso che, come evidenziato nell’impugnato provvedimento, l’esistenza di un provvedimento di espulsione e la segnalazione in ambito Schengen precludeva in assoluto all’Amministrazione già l’accoglimento dell’istanza di primo permesso di soggiorno e, quindi, quella di rinnovo, circostanza questa non contestata da parte ricorrente.
Accertata, infatti, l’applicabilità delle richiamate disposizioni e non essendo stata contestata la affermata illegittimità del primo permesso di soggiorno, sul cui presupposto è stato adottato l’impugnato diniego, il provvedimento negativo dell’Amministrazione ha natura vincolata, rispetto al quale, pertanto, l’omessa comunicazione del preavviso di diniego non è idonea a determinare l’illegittimità dello stesso, in applicazione del principio di dequotazione di cui sopra.
Tale principio, se pure affermato nella menzionata recente giurisprudenza specificamente con riferimento alla comunicazione di avvio del procedimento di cui all’art. 7 della legge n. 241/1990, deve ritenersi pienamente applicabile anche all’attività partecipativa prevista dall’art. 10 bis della medesima legge per i provvedimenti ad iniziativa di parte, stante l’analoga ratio delle menzionate disposizioni.
Per le stesse ragioni risulta infondato anche l’analoga censura, con la quale il ricorrente lamenta la violazione dei “principi dell’ordinamento comunitario” relativi alla partecipazione al procedimento.
Inammissibile per genericità risulta poi l’ulteriore censura di violazione dei citati principi comunitari in materia di imparzialità, di proporzionalità, di accesso, di obbligo di motivazione e di termine ragionevole nel quale le pubbliche amministrazioni debbono pronunciarsi, non essendo state in alcun modo precisate le ragioni per le quali l’impugnato provvedimento avrebbe violato i predetti principi comunitari.
In conclusione e per quanto sopra argomentato l’impugnato provvedimento risulta immune da tutte le censure dedotte e, conseguentemente, il ricorso deve essere respinto.
Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio, ivi compresi diritti ed onorari.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sez. II quater, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 1901/2006 indicato in epigrafe , lo respinge.
Spese, diritti e onorari, compensati.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, in data 11 giugno 2008, in Camera di Consiglio, con l’intervento dei magistrati:
Lucia TOSTI – Presidente
Renzo CONTI  – Consigliere, estensore
Floriana RIZZETTO  – Consigliere
IL PRESIDENTE _________________________________
L’ESTENSORE   _________________________________

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