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TAR Lombardia Sentenza 17 giugno 2008 Legittimo diniego rinnovo pds senza iscrizione collocamento

TAR Lombardia, Milano, Sezione III, Sentenza n. 2083 del 17 giugno 2008
E’ legittimo il diniego della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, per non avere il ricorrente, alla data della richiesta, la disponibilità di un lavoro.
Nella specie, il ricorrente lamenta il notevole ritardo con il quale l’autorità si è pronunciata in merito all’istanza da lui inoltrata.
Il motivo è però infonadato in quanto il rimedio che l’ordinamento appresta nei casi di ritardo, consiste non già nel sanzionare l’atto tardivo con la misura dell’illegittimità, bensì nel conferire la possibilità di adire il giudice affinché quest’ultimo imponga all’amministrazione di provvedere.
Il ricorrente, pertanto, non può dedurre in questa sede l’illegittimità del provvedimento impugnato sulla sola base del ritardo con cui esso è stato adottato, potendo egli esperire il succitato rimedio giurisdizionale.
Inoltre, viene censurata la motivazione che sorregge l’atto di diniego, basato sulla circostanza che l’interessato aveva posto fine da tempo al rapporto di lavoro addotto a fondamento dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno; e sul fatto che non si sarebbe potuto rilasciare neppure il permesso di soggiorno per attesa occupazione, giacché lo stesso non risultava iscritto alle liste di collocamento. 
Il combinato disposto dell’ art. 5, comma 5 e dell’art. 4, comma 3 T. U. Immigrazione impongono alla pubblica amministrazione di verificare che colui che chiede il rinnovo del permesso di soggiorno sia in possesso dei requisiti previsti dalla legge, che gli consentono di permanere nel territorio nazionale; ed in particolare, in caso di permesso di soggiorno ottenuto per motivi di lavoro, di accertare la reale sussistenza di un rapporto lavorativo che consenta al richiedente di disporre di mezzi di sussistenza economica sufficienti alla conduzione di una vita libera e dignitosa.
In particolare l’art. 5, comma 5, con l’inciso “sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio”, pone la regola secondo la quale l’amministrazione deve dare rilievo alle sopravvenienze.
Questo anche alla luce del fatto che, in mancanza di risorse economiche sufficienti, lo straniero senza lavoro andrebbe a gravare sulle strutture di protezione sociale e potrebbe essere indotto a procurarsi i mezzi di sussistenza con modalità non lecite, con gravi ripercussioni in materia di ordine pubblico.
Occorre peraltro considerare che il legislatore ha inteso bilanciare tali interessi pubblici con quelli dello straniero che perde il posto di lavoro, consentendogli di permanere nello Stato, per un periodo limitato coincidente con la residua durata del permesso o, se inferiore, per un periodo di sei mesi, nonostante la sopravvenuta perdita del requisito (cfr. art. 22, comma  11, d.lgs. 286/98).
Tale rimedio tuttavia non comporta la possibilità di accordare il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro a chi il lavoro non ha più; bensì il rilascio di un altro titolo che consente allo straniero di permanere in Italia al fine di trovare una nuova occupazione.
L’art. 37, comma 2, del D.P.R. 31 agosto 1999 n. 394, dispone a sua volta che l’interessato, per poter beneficiare di tale regime “deve presentarsi, non oltre il quarantesimo giorno dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, presso il Centro per l’impiego e rendere la dichiarazione…Gli adempimenti previsti da tali disposizioni (la dichiarazione al Centro per l’impiego e l’iscrizione alle liste) costituiscono un presupposto per il legittimo permanere sul territorio nazionale dello straniero che non ha più un lavoro, e quindi anche per il rilascio del titolo da attribuire a colui che ha perso il posto in prossimità della scadenza del permesso.
Al contrario, constatata la mancata iscrizione nelle liste da parte del ricorrente, ha concluso per l’impossibilità del rilascio del suddetto titolo.
Né può assumere rilievo il fatto che lo stesso ricorrente fosse sprovvisto del documento contenente il suo permesso di soggiorno. Occorre infatti considerare che, sebbene la norma richieda l’esibizione del permesso di soggiorno, l’interessato può utilmente adempiere agli oneri da essa previsti esibendo la ricevuta rilasciata dall’autorità all’atto dell’inoltro dell’istanza di rinnovo.
Alla luce di tali considerazioni il ricorso deve essere pertanto respinto.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA
(Sezione  III)
ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso n. 968/07 proposto da Guaracy Pereira Claudio rappresentato e difeso dall’avv. Mauro Ciappetta e successivamente a mezzo di nuova procura dall’avv. Cinzia Borgna, ed elettivamente domiciliato nello studio dell’avv. Mauro Ciappetta in Milano, Via Vipacco n. 21;
contro
Questura di Milano, in persona del Questore pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato e domiciliato presso gli uffici di quest’ultima in Milano via Freguglia n. 1;
per l’annullamento
– del provvedimento n. 20569/2006 in data 5 febbraio 2007, con il quale veniva respinta la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato del ricorrente. 
VISTO il ricorso con i relativi allegati;
VISTO l’atto di costituzione in giudizio del Ministero degli Interni;
VISTI gli atti tutti della causa;
Nominato relatore alla pubblica udienza dell’8 maggio 2008 il ref. Stefano Cozzi;
Uditi l’avv. Ciappetta per il ricorrente, e l’avv. Damiani dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato, per il Ministero resistente;
Considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente impugna il provvedimento del 5 febbraio 2007, con il quale il Questore della provincia di Milano ha disposto il rigetto dell’istanza di rinnovo del suo permesso di soggiorno, presentata in data 11 aprile 2006.
Si è costituita in Giudizio l’Avvocatura Distrettuale dello Stato con memoria meramente formale, chiedendo la reiezione del ricorso..
Il Collegio, con ordinanza n. 800 del 24 maggio 2007, ha respinto l’istanza di sospensione cautelare dell’efficacia del provvedimento impugnato
Alla pubblica udienza del 5 maggio 2008 la causa è stata trattenuta per la decisione.
2. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente si duole per il notevole ritardo con il quale l’autorità si è pronunciata in merito all’istanza da lui inoltrata.
2.1. Il motivo è infondato
La giurisprudenza del giudice amministrativo ritiene che il termine previsto dall’art. 5, comma 9, del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, non abbia natura perentoria (cfr. CdS, sez. VI, 20/04/2006 n. 2195; TAR Friuli Venezia Giulia, 28/06/2003 n. 459).
Ciò comporta che la sua violazione non costituisce di per sé causa di illegittimità del provvedimento amministrativo adottato successivamente alla sua scadenza.
Né ha pregio l’affermazione del ricorrente secondo la quale la natura ordinatoria di un termine non può consentire all’amministrazione di dilatare la durata del procedimento a dismisura, soprattutto quando non ricorrano esigenze istruttorie di particolare necessità.
Sul punto si deve considerare che la tutela all’interessato contro l’eccessiva durata del procedimento viene offerta dall’art. 2, comma 5, della legge 7 agosto 1990 n. 241, il quale, come noto, consente a chi non riceve risposta dall’amministrazione entro i termini stabiliti dalle norme di disciplina della durata dei procedimenti, di adire il giudice amministrativo attivando il giudizio sul silenzio di cui all’art. 21 bis della legge 1034/71: il rimedio che quindi l’ordinamento appresta consiste non già nel sanzionare l’atto tardivo con la misura dell’illegittimità, bensì nel conferire al privato la possibilità di adire il giudice affinché quest’ultimo imponga all’amministrazione di provvedere.
Il ricorrente, pertanto, non può dedurre in questa sede l’illegittimità del provvedimento impugnato sulla sola base del ritardo con cui esso è stato adottato, potendo egli, qualora l’avesse ritenuto opportuno, esperire il succitato rimedio giurisdizionale.     
3. Con il secondo mezzo viene censurata la motivazione che sorregge l’atto del Questore di Milano, basata sulla circostanza che l’interessato aveva posto fine da tempo al rapporto di lavoro addotto a fondamento dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno; nonché sul rilievo che all’istanze non si sarebbe potuto rilasciare neppure il permesso di soggiorno per attesa occupazione, giacché lo stesso non risultava iscritto alle liste di collocamento.
A dire del ricorrente, infatti, l’autorità avrebbe dovuto tenere conto che, all’epoca della presentazione dell’istanza, il rapporto di lavoro era sussistente, e che non possono andare a suo discapito le lungaggini del procedimento; inoltre egli rileva che la mancata iscrizione alle liste di collocamento sarebbe dovuta all’indisponibilità del permesso di soggiorno, da lui consegnato alla Questura per ottenerne il rinnovo.
3.1. Anche questo motivo è infondato.
Stabilisce l’art. 5, comma 5, del d.lgs. 286/98 che “Il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati …………quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato…..sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio”.
L’art. 4., comma 3, dello stesso d.lgs. 286/98 dispone a sua volta che è consentito l’ingresso nel territorio dello Stato “….allo straniero che dimostri di essere in possesso di idonea documentazione atta a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno”.
Queste norme impongono alla pubblica amministrazione di verificare che colui che chiede il rinnovo del permesso di soggiorno sia in possesso dei requisiti previsti dalla legge, che gli consentono di permanere nel territorio nazionale; ed in particolare, in caso di permesso di soggiorno ottenuto per motivi di lavoro, di accertare la reale sussistenza di un rapporto lavorativo che consenta al richiedente di disporre di mezzi di sussistenza economica sufficienti alla conduzione di una vita libera e dignitosa.
In particolare l’art. 5, comma 5, con l’inciso “sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio”, pone la regola secondo la quale l’amministrazione deve dare rilievo alle sopravvenienze.
Certo, la norma ha inteso attribuire una garanzia allo straniero, e si riferisce a quelle di carattere positivo, consentendo il rilascio del permesso di soggiorno nel caso in cui il requisito venga in essere nelle more dell’adozione del provvedimento; ma si deve ritenere che anche le sopravvenienze negative debbano essere valorizzate, poiché in caso contrario si consentirebbe la permanenza sul territorio nazionale a chi nella sostanza non vi avrebbe titolo (cfr. TAR Valle d’Aosta, 12/09/2007 n. 115). 
In mancanza di risorse economiche sufficienti, infatti, lo straniero andrebbe a gravare sulle strutture di protezione sociale e potrebbe essere indotto a procurarsi i mezzi di sussistenza con modalità non lecite, con gravi ripercussioni in materia di ordine pubblico.
Si deve pertanto ritenere che l’amministrazione debba valutare la sussistenza dei predetti requisiti con riferimento al momento di adozione del provvedimento, e non già a quello in cui è stata proposta l’istanza: il mutamento delle circostanze di fatto potrebbe comportare, da un lato, la possibilità di rilasciare il titolo a chi al momento dell’istanza era privo dei requisiti (qualora la sussistenza degli stessi sia sopraggiunta in un secondo momento); dall’atro lato di impedire il rilascio a chi i requisiti li ha nel frattempo persi, salvaguardandosi in tal modo gli interessi pubblici sopra illustrati.
E’ il caso di aggiungere che non possono avere alcun rilievo le ulteriori modificazioni della situazione di fatto che sopraggiungono successivamente all’emanazione dell’atto, delle quali l’amministrazione non poteva ovviamente tenere conto, e che non possono incidere sulle valutazioni di legittimità dell’atto stesso (cfr. TAR Friuli Venezia Giulia, 22/04/03/ n. 146).
Occorre peraltro considerare che il legislatore ha inteso bilanciare tali interessi pubblici con quelli dello straniero che perde il posto di lavoro, consentendogli di permanere nello Stato, per un periodo limitato coincidente con la residua durata del permesso o, se inferiore, per un periodo di sei mesi, nonostante la sopravvenuta perdita del requisito (cfr. art. 22, comma  11, d.lgs. 286/98).
Tale rimedio tuttavia non comporta la possibilità di accordare il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro a chi il lavoro non ha più; bensì il rilascio di un altro titolo che consente allo straniero di permanere in Italia al fine di trovare una nuova occupazione.
Da quanto esposto discende che correttamente, la Questura della Provincia di Milano, constatato che l’interessato, al momento dell’emanazione dell’atto, era privo di sistemazione lavorativa, ha decretato il rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno rilasciato per motivi di lavoro. Né può avere rilievo, in merito al vaglio di legittimità del provvedimento impugnato, la circostanza che attualmente il ricorrente potrebbe essere assunto da un  nuovo datore di lavoro, poiché trattasi di elemento sopravvenuto all’adozione dell’atto del quale l’amministrazione non poteva tenere conto.
3.2 Assume il ricorrente che l’autorità avrebbe allora dovuto accordargli il rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione, e che a tal fine non poteva essergli opposta la mancata iscrizione nelle liste di collocamento, poiché egli non aveva potuto iscriversi in dette liste in quanto privo del titolo di soggiorno consegnato alla Questura al momento dell’inoltro dell’istanza di rinnovo.
3.3 Come si è visto, il succitato art. 22, comma 11, del d.lgs. 286/98, permette allo straniero, che ha perso il lavoro in prossimità della scadenza del permesso di soggiorno, di iscriversi alle liste di collocamento e di permanere in Italia per un periodo di sei mesi al fine di consentirgli la ricerca di una nuova occupazione.
L’art. 37, comma 2, del D.P.R. 31 agosto 1999 n. 394, dispone a sua volta che l’interessato, per poter beneficiare di tale regime “deve presentarsi, non oltre il quarantesimo giorno dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, presso il Centro per l’impiego e rendere la dichiarazione, di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, così come sostituito dal decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, che attesti l’attività lavorativa precedentemente svolta, nonché l’immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa, esibendo il proprio permesso di soggiorno”.
Gli adempimenti previsti da tali disposizioni (la dichiarazione al Centro per l’impiego e l’iscrizione alle liste) costituiscono un presupposto per il legittimo permanere sul territorio nazionale dello straniero che non ha più un lavoro, e quindi anche per il rilascio del titolo da attribuire a colui che ha perso il posto in prossimità della scadenza del permesso.
Correttamente pertanto, la Questura di Milano, constatata la mancata iscrizione nelle liste da parte del ricorrente, ha concluso per l’impossibilità del rilascio del suddetto titolo.
Né può assumere rilievo il fatto che lo stesso ricorrente fosse sprovvisto del documento contenete il suo permesso di soggiorno. 
Occorre infatti considerare che, sebbene la norma richieda l’esibizione del permesso di soggiorno, l’interessato può utilmente adempiere agli oneri da essa previsti esibendo la ricevuta rilasciata dall’autorità, ai sensi dell’art. 13, comma 2,  del D.P.R. 394/99, all’atto dell’inoltro dell’istanza di rinnovo; ciò in quanto, in caso contrario, si impedirebbe alla disposizione stessa di operare quando, come nel caso in esame, lo straniero deve richiedere il rinnovo del suo permesso e non è quindi in condizione di esibire il documento al Centro per l’impiego.
Si deve pertanto ritenere che il permesso di soggiorno debba essere esibito da chi ha perso il lavoro prima della richiesta di rinnovo; chi invece è cessato dall’impiego in prossimità della scadenza del titolo, ed è quindi privo del documento consegnato all’autorità per il rinnovo, può ugualmente adempiere esibendo la suddetta ricevuta.
Come risulta dalla documentazione depositata in giudizio, a tale interpretazione delle norme, coerente alla logica, si è conformato il Centro per l’Impiego; e di tale circostanza il ricorrente avrebbe potuto rendersi conto se si fosse recato presso di esso per rendere la dichiarazione di cui al citato art. 37, comma 2 del D.P.R. 394/99.
Omettendo tale adempimento l’interessato non ha quindi ottemperato agli oneri che le norme pongono a presupposto della legittima permanenza in Italia dello straniero disoccupato, impedendo in tal modo alla Questura della Provincia di Milano di rilasciare il permesso di soggiorno per attesa occupazione.
4. Nella memoria depositata in giudizio, il ricorrente contesta infine l’affermazione, contenuta nel provvedimento impugnato, secondo la quale l’autorità non avrebbe potuto effettuare la comunicazione di cui all’art 10 bis della legge 241/90 a causa di irreperibilità dello stesso.
Occorre in primo luogo osservare che il motivo è inammissibile in quanto sollevato per la prima volta con la memoria depositata in giudizio in data 24 aprile 2008, non notificata a parte resistente.
Il motivo è comunque anche infondato giacché la pubblica amministrazione ha fatto correttamente riferimento al recapito indicato dal ricorrente stesso in sede di istanza di rinnovo; l’interessato si è successivamente trasferito senza che risulti abbia comunicato tale trasferimento all’autorità, la quale non ha così potuto inoltrare la suddetta comunicazione al nuovo indirizzo.
 5. Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere pertanto respinto.
Le spese seguono la regola generale della soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sez. III, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe.
Condanna il ricorrente a rifondere all’amministrazione le spese di giudizio che vengono quantificate in € 1.000,00, oltre IVA e C.P.A se dovuti
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Milano, nella Camera di Consiglio dell’8 maggio 2008, con l’intervento dei magistrati:
Domenico Giordano    –  Presidente
Stefano Cozzi    –  Referendario est.
Dario Simeoli     –  Referendario

 

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