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TAR Puglia Sentenza 23 luglio 2008 Legittimo rigetto rinnovo pds violazione norme diritto d’autore

TAR Puglia, Bari, Sezione II, Sentenza n. 1832 del 23 luglio 2008.
Legittimo il rigetto della richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno, presentata dal cittadino marocchino il 06.02.2004, in quanto risultava un condizione ritenuta ostativa e, in particolare, era stata applicata ai sensi dell’art. 444 c.p.p. la pena di mesi sei di reclusione ed €. 2.065,83 di multa per la violazione delle norme sul diritto d’autore commessa il 17.06.2003.
Le diverse censure di incostituzionalità poste dal ricorrente sulla norma che prevede la revoca del permesso di soggiorno e l’espulsione per chi commette reati relativi alla tutela del diritto d’autore, sono risultate essere non accoglibili.
La normativa italiana in tema di immigrazione, si ispira al principio del cosiddetto “flusso regolato”, tendente cioè ad ammettere l’ingresso e il soggiorno degli stranieri nel limite di un numero massimo accoglibile, tale da assicurare loro un adeguato lavoro, mezzi idonei di sostentamento, in una parola un livello minimo di dignità e di diritti, e tra questi, quelli alla casa ed allo studio. Come affermato dalla Corte costituzionale, le ragioni della solidarietà umana non possono essere sancite al di fuori di un bilanciamento dei valori in gioco: tra questi, vi sono indubbiamente la difesa dei diritti umani, la tutela dei perseguitati ed il diritto di asilo, ma altresì, di non minore rilevanza, il presidio delle frontiere (nazionali e comunitarie), la tutela della sicurezza interna del Paese, la lotta alla criminalità, lo stesso principio di legalità, per cui chi rispetta la legge non può trovarsi in una posizione deteriore rispetto a chi la elude.
Il bilanciamento dei vari interessi in gioco effettuato dal legislatore, in alcuni casi, ha disposto l’espulsione dello straniero in via quasi automatica, al semplice verificarsi di determinati presupposti, mentre, in altri, ha ammesso una certa discrezionalità in capo all’amministrazione, nella valutazione e ponderazione dei fatti. Ebbene, tanto l’espulsione quanto il decreto di rilascio o diniego del permesso di soggiorno sono provvedimenti amministrativi che attuano la descritta esigenza di “regolare” il flusso dell’immigrazione nel nostro paese.
Il provvedimento di diniego del permesso di soggiorno così come, del resto, quello di espulsione, inoltre, non incidono direttamente sulla libertà personale a differenza dei provvedimenti di traduzione coattiva alla frontiera e di trattenimento presso un centro di permanenza, per cui è manifestamente infondata la questione sollevata della mancata applicazione delle garanzie ex art. 13 Cost. e, in particolare, del mancato intervento, già in sede di prima applicazione della misura, dell’Autorità giurisdizionale.
Nel regolare il flusso migratorio, secondo i principi descritti in precedenza, il legislatore è certamente libero di giudicare i diversi interessi in gioco (il ricorrente, peraltro, è incorso per ben due volte in violazioni analoghe) attribuendo, come nel caso della norma di cui si discute, valore dirimente alla commissione di particolari reati da parte dello straniero che richiede il titolo di permanenza nel nostro paese; rileva, in proposito, tanto il profilo della legalità violata quanto quello della lesione dei beni giuridici tutelati dalla normativa in esame che presiede non solo alla tutela dei diritti patrimoniali degli «autori» ma, altresì, all’ordinato svolgimento e alla libertà dell’attività economica, valori anch’essi di rilevanza costituzionale.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 2176 del 2004, proposto da:
Basri Abdelhakim, rappresentato e difeso dall’avv. Tiziana Sangiovanni, con domicilio eletto presso Tiziana Sangiovanni in Bari, via Napoli 138;
contro
Ministero dell’Interno, Questura di Bari, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distr.le Bari, domiciliata per legge in Bari, via Melo, 97;
per l’annullamento
previa sospensione dell’efficacia,
– del decreto emesso in data 02.08.2004 e notificato in data 21.09.2004, Cat. A.11/2004/Imm. N. 67/P.S. con il quale è stato disposto che la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno n. A005810 rilasciato dalla Questura di Bari, <<avanzata dal cittadino marocchino BASRI Abdelhakim è rifiutata>>;
– nonché di ogni altro atto ad esso presupposto, conseguente e/o comunque connesso, sempre nei limiti dell’interesse..

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Questura di Bari;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12/06/2008 il dott. Luca Cestaro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO
Con ricorso ritualmente notificato, BASRI ABDELHAKIM impugnava il decreto questorile indicato in epigrafe chiedendo, in via incidentale, che fosse sospeso e, in via principale, annullato.
Si costituivano il Ministero dell’Interno e la Questura di Bari che chiedevano il rigetto del ricorso rilevando come il provvedimento fosse vincolato ai sensi dell’art. 26 co. 7 bis d.lgs. 286/1998.
All’udienza camerale del 13 ottobre 2004, il Tribunale, con ordinanza resa in pari data, respingeva l’istanza di sospensione.
All’esito dell’udienza pubblica del 12 giugno 2008, il Collegio tratteneva la causa in decisione.
DIRITTO
Il ricorrente esponeva di essere in Italia sin dal 1989 avendo sempre esercitato il mestiere di venditore ambulante che gli consentiva di conseguire un reddito tale da indurlo a farsi raggiungere dalla moglie e dalla figlia (in Italia, poi, nasceva un’altra figlia). Sennonché la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno, presentata dal BASRI il 06.02.2004 presso il Commissariato di Gravina, era rigettata in quanto risultava un condizione ritenuta ostativa e, in particolare, che allo stesso, con Sentenza del 19.06.2003, fosse stata applicata ai sensi dell’art. 444 c.p.p. la pena di mesi sei di reclusione ed €. 2.065,83 di multa per il reato di cui all’art. 171/ter co. 1 lett. a) della L. 633/1941 (violazione delle norme sul diritto d’autore) commesso il 17.06.2003.
Ebbene le censure mosse avverso l’operato della Questura riguardano principalmente la pretesa incostituzionalità della norma applicata (art. 26 co. 7 bis L. 286/1998 –T.U. immigrazione- introdotto dalla L. 189/2002) secondo cui «la condanna con provvedimento irrevocabile per alcuno dei reati previsti dalle disposizioni del Titolo III, Capo III, Sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, relativi alla tutela del diritto di autore, e dagli articoli 473 e 474 del codice penale comporta la revoca del permesso di soggiorno rilasciato allo straniero e l’espulsione del medesimo con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica». Deve, in primo luogo, rilevarsi che la ricorrente dà per scontata la parificazione tra sentenza di condanna e sentenza di cd. “patteggiamento” ai fini dell’applicazione della norma in questione, con ciò seguendo un orientamento che questo Collegio condivide in quanto l’equiparazione fra sentenza di applicazione concordata della pena e sentenza di condanna è sancita dall’art. 445, comma 1 bis, del c.p.p. ed è ribadita, in materia di permessi di soggiorno, dall’art. 4, comma 3, del D.L.vo n. 286/1998 (cfr. T.A.R. Napoli n. 3867/08).
Per quel che riguarda i profili di incostituzionalità sollevati, la norma, violerebbe gli artt. 3, 13 e 25 ult. co. nonché gli artt. 2, 4, 16 e 29 della Costituzione sotto diversi aspetti. Il co. 7 bis dell’art. 26 D.Lgs. 286/1998 riconduce «irragionevolmente» la misura dell’espulsione non solo alle sentenze di condanna ma anche alla sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.; l’espulsione, infatti, rientrerebbe tra le «misure di sicurezza» di cui all’art. 215 c.p. la cui applicazione è esclusa, a norma dell’art. 445 c.p.p., in caso di Sentenza di cd. “patteggiamento”. La censura è, in questa sede, del tutto inammissibile per irrilevanza considerato che l’oggetto del presente giudizio è non certo il provvedimento espulsivo (riguardo al quale questo Giudice è sfornito di giurisdizione) ma il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno. Deve dirsi, peraltro, che la questione è anche manifestamente infondata in quanto la ricostruzione fornita è assolutamente fallace. La normativa italiana in tema di immigrazione, infatti, si ispira al principio del cosiddetto “flusso regolato”, tendente cioè ad ammettere l’ingresso e il soggiorno degli stranieri nel limite di un numero massimo accoglibile, tale da assicurare loro un adeguato lavoro, mezzi idonei di sostentamento, in una parola un livello minimo di dignità e di diritti, e tra questi, quelli alla casa ed allo studio. Come affermato dalla Corte costituzionale (sentenza 21 novembre 1997 n. 353), le ragioni della solidarietà umana non possono essere sancite al di fuori di un bilanciamento dei valori in gioco: tra questi, vi sono indubbiamente la difesa dei diritti umani, la tutela dei perseguitati ed il diritto di asilo, ma altresì, di non minore rilevanza, il presidio delle frontiere (nazionali e comunitarie), la tutela della sicurezza interna del Paese, la lotta alla criminalità, lo stesso principio di legalità, per cui chi rispetta la legge non può trovarsi in una posizione deteriore rispetto a chi la elude. Il bilanciamento dei vari interessi in gioco è stato effettuato dal legislatore, che ha graduato le varie situazioni: in alcuni casi, ad esempio, ha disposto l’espulsione dello straniero in via quasi automatica, al semplice verificarsi di determinati presupposti, mentre, in altri, ha ammesso una certa discrezionalità in capo all’amministrazione, nella valutazione e ponderazione dei fatti (cfr. la già citata Sent. n. 5104/2007 del C.d.S. sez. VI). Ebbene, tanto l’espulsione quanto il decreto di rilascio o diniego del permesso di soggiorno sono provvedimenti amministrativi che attuano la descritta esigenza di “regolare” il flusso dell’immigrazione nel nostro paese, mentre le misure di sicurezza di cui all’art. 215 c.p. sono misure irrogate in sede giurisdizionale nel caso in cui un soggetto, che abbia commesso un reato, sia socialmente pericoloso (anche se, ad es., sia assolto dal reato perché non imputabile). La rilevantissima distinzione delle due fattispecie, pur accostate dalla ricorrente, dimostra la manifesta infondatezza della questione sollevata.
Considerazioni analoghe valgono in relazione agli altri profili di incostituzionalità denunciati che risiederebbero nell’automaticità della revoca del permesso di soggiorno e della conseguente espulsione a seguito della commissione di reati in materia di diritto di autore; l’art. 15 del T.U. immigrazione, infatti, consente l’espulsione dello straniero giudicato colpevole di uno dei reati previsti dagli artt. 380 e 381 c.p.p. a titolo di misura di sicurezza solo nel caso in cui risulti «socialmente pericoloso», mentre nel caso di specie la valutazione di pericolosità non è richiesta. E’ evidente che anche in questo caso rilevi la differenza tra la misura di sicurezza applicata in sede giurisdizionale ex art. 15 T.U. immigrazione, analoga, questa sì, a quelle previste dall’art. 215 c.p. e i provvedimenti amministrativi che rispondono alle diverse esigenze di regolazione dell’immigrazione sopra descritte. In tale ottica appare assolutamente ragionevole che i presupposti dei due tipi di provvedimenti divergano, non potendosi ritenere che il provvedimento amministrativo di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno e la conseguente espulsione «vanifichino» la premialità del rito in sede penale (che, peraltro, non si esaurisce certo nella mancata applicazione di misure di sicurezza, cfr. artt. 444, 445 c.p.p. ma comporta, principalmente, sconti di pena e facilitazioni in tema di estinzione del reato) in quanto diversi sono l’ambito di operatività e le finalità degli istituti in questione.
Il provvedimento di diniego del permesso di soggiorno così come, del resto, quello di espulsione, inoltre, non incidono direttamente sulla libertà personale a differenza dei provvedimenti di traduzione coattiva alla frontiera e di trattenimento presso un centro di permanenza, per cui è manifestamente infondata la questione sollevata della mancata applicazione delle garanzie ex art. 13 Cost. e, in particolare, del mancato intervento, già in sede di prima applicazione della misura, dell’Autorità giurisdizionale (cfr., in senso conforme, Cassazione penale , sez. I, 07 dicembre 2005, n. 46182).
Altro aspetto di incostituzionalità riguarderebbe la «sproporzione» tra i beni sacrificati (diritti fondamentali della persona: diritto alla famiglia «sotto il profilo dell’unità familiare») e quelli tutelati dalla norma applicata (diritto di autore) di carattere meramente economico. Ebbene anche tale censura è manifestamente infondata in quanto la scelta del legislatore di bilanciamento tra gli interessi descritti non appare per nulla irragionevole. Nel regolare il flusso migratorio, secondo i principi descritti in precedenza, il legislatore è certamente libero di giudicare i diversi interessi in gioco (il ricorrente, peraltro, è incorso per ben due volte in violazioni analoghe, cfr. il certificato penale in atti) attribuendo, come nel caso della norma di cui si discute, valore dirimente alla commissione di particolari reati da parte dello straniero che richiede il titolo di permanenza nel nostro paese; rileva, in proposito, tanto il profilo della legalità violata quanto quello della lesione dei beni giuridici tutelati dalla normativa in esame che presiede non solo alla tutela dei diritti patrimoniali degli «autori» ma, altresì, all’ordinato svolgimento e alla libertà dell’attività economica, valori anch’essi di rilevanza costituzionale.
Altre censure involgono direttamente il provvedimento per la carenza della motivazione e per l’omessa comunicazione di avvio del procedimento ai sensi degli artt. 7 e 8 L. 241/1990.
La prima questione è palesemente infondata in quanto il provvedimento espone compiutamente le ragioni di fatto (la citata condanna penale) e di diritto (l’art. 26 co. 7 bis D.Lgs. 286/1998) su cui si fonda; la seconda è infondata in quanto trattandosi di provvedimento rigidamente vincolato nei presupposti da parte del legislatore, il rispetto delle norme procedimentali in questione non avrebbe giammai potuto condurre ad un provvedimento di diverso contenuto (cfr. art. 21 octies L. 241/1990).
La particolare natura della questione legata a diritti fondamentali della persona, il corretto contegno processuale delle parti, ed il tenore delle difese integra giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo regionale della Puglia, sede di Bari, sezione II, pronunziando sul ricorso n. 2176/2004, proposto da BASRI ABDELHAKIM, lo respinge.
Compensate le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 12/06/2008 con l’intervento dei Magistrati:
Pietro Morea, Presidente
Antonio Pasca, Consigliere
Luca Cestaro, Referendario, Estensore
   
   
L’ESTENSORE  IL PRESIDENTE
   
   
   
   
   
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/07/2008
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO

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