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TAR Veneto 2 gennaio 2009 Revoca carta soggiorno in presenza condanna reati ostativi ex art 4 T.U.

TAR Veneto Sentenza n.05 del 2 gennaio 2009 Revoca carta soggiorno in presenza condanna per reati ostativi alla permanenza in Italia
E’ legittimo il provvedimento di revoca della carta di soggiorno in presenza di condanne ostative alla permanenza dello straniero nel territorio nazionale ex art. 4, comma 3, del D. Lgs. n. 286 del 1998 (nel caso di specie condanna per furto aggravato) Nelle censure svolte il ricorrente ha lamentato l’illegittimità del provvedimento impugnato per violazione e falsa applicazione degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, 9 e 28 del D.Lgs. n. 286/1998 e 6, 9, 12 e 16 del D.P.R. n. 394/1999, in quanto la Questura di Vicenza ha del tutto omesso di considerare che il giudice, all’esito dell’attività processuale, ha qualificato il fatto reato ascritto al ricorrente come furto semplice, avendo ritenuto le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate,  con conseguente esclusione dello stesso dal novero di quelli previsti dagli artt. 380 e 381 c.p.p. L’amministrazione, in realtà, ha applicato l’art. 9, comma 3, del D. Lgs. n. 286/1998 il quale, nel testo vigente al tempo dell’emanazione del provvedimento, prevedeva che “La carta di soggiorno è rilasciata sempre che nei confronti dello straniero non sia stato disposto il giudizio per taluno dei delitti di cui all’art. 380  nonché, limitatamente ai delitti non colposi, all’art. 381 del codice di procedura penale, o pronunciata sentenza di condanna, anche non definitiva, salvo che abbia ottenuto la riabilitazione. Successivamente al rilascio della carta di soggiorno il questore dispone la revoca, se è stata emessa sentenza di condanna, anche non definitiva, per reati di cui al presente comma”. Tale disposizione configura un potere del tutto vincolato dell’amministrazione che, in presenza di una sentenza di condanna per uno dei reati previsti dall’art. 380 c.p.p., è tenuta a revocare la carta di soggiorno già rilasciata. Né d’altro canto risulta condivisibile la tesi del ricorrente secondo la quale avendo il giudice penale ritenuto in sentenza le circostanze attenuanti equivalenti alla circostanza aggravante contestata, il reato sarebbe stato derubricato a furto semplice e, quindi, non si verterebbe più in una fattispecie di reato ricompresa tra quelle di cui all’art. 380 c.p.p.. In realtà il bilanciamento tra le circostanze aggravanti e le circostanze attenuanti, operato dal giudice penale quoad poenam, non incide sulla fattispecie di reato contestata al ricorrente, né il giudice penale ha riqualificato il fatto reato ascritto a quest’ultimo. Alla luce di ciò il ricorso è infondato.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Avviso di Deposito
del
a norma dell’art. 55
della   L.   27  aprile
1982 n. 186
Il Direttore di Sezione
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza Sezione, con l’intervento dei signori magistrati:
Angelo  De Zotti      Presidente
Angelo Gabbricci                 Consigliere
Marina Perrelli       Referendario, relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 16/07, proposto da MOUHIB EL MOSTAPHA, rappresentato e difeso dall’avv.to Elisabetta Costa, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.to Cristian Giurato in Venezia – Mestre, p.zza Ferretto n. 68;
CONTRO
Il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, non costituito in giudizio;
PER L’ANNULLAMENTO
del decreto della Questura di Vicenza Cat. A12/2006/Imm.ne n.363, emesso il 15.9.2006 e notificato il 24.10.2006, con il quale è stata revocata la carta di soggiorno in possesso del ricorrente e rigettata l’istanza di rilascio di permesso di soggiorno.
    Visto il ricorso, notificato il 16 dicembre 2006 e depositato presso la Segreteria il 4 gennaio 2007, con i relativi allegati;
Vista la memoria prodotta dalla parte ricorrente;
Visti gli atti tutti di causa;
Vista l’ordinanza n. 84 del 31.1.2007 con la quale è stata respinta l’istanza di sospensiva;
Uditi nella pubblica udienza del 13 novembre 2008 – relatore il Referendario M. Perrelli – l’avv. Infantolino per la parte ricorrente;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Il ricorrente è cittadino marocchino regolarmente residente in Italia da oltre dieci anni prima in forza di permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato e poi dal 18.12.2002 in forza della carta di soggiorno. Nel 2000, a seguito di istanza di ricongiungimento familiare, entrava in Italia anche la moglie del ricorrente e nel 2002 nasceva la prima figlia della coppia e veniva acquistata la casa di abitazione in comune di Thiene, con l’accensione di un finanziamento bancario. A seguito della nascita della seconda figlia, avvenuta il 29.10.2005, il ricorrente presentava alla Questura di Vicenza istanza di inserimento della stessa nel proprio titolo di soggiorno.
Il 26.7.2006 la Questura comunicava al ricorrente l’avvio del procedimento per la revoca della carta di soggiorno giacché lo stesso risultava condannato con sentenza, divenuta irrevocabile il 9.7.2005, per il reato di furto aggravato.
Con il provvedimento impugnato il Questore di Vicenza decretava il rigetto dell’istanza di inserimento nel titolo di soggiorno della figlia minore e la revoca della carta di soggiorno, nonché contestualmente negava, altresì, il rilascio di un permesso di soggiorno ad altro titolo.
Con il presente ricorso il ricorrente lamenta l’illegittimità del decreto impugnato:1) per vizio di forma, riportando il provvedimento una errata dicitura in ordine alla possibilità di farsi assistere da un difensore di fiducia o, in mancanza, della nomina di un difensore d’ufficio da parte del giudice; 2) per violazione e falsa applicazione degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, 9 e 28 del D.Lgs. n. 286/1998 e 6, 9, 12 e 16 del D.P.R. n. 394/1999, in quanto la Questura di Vicenza ha del tutto omesso di considerare che il giudice, all’esito dell’attività processuale, ha qualificato il fatto reato ascritto al ricorrente come furto semplice, avendo ritenuto le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate,  con conseguente esclusione dello stesso dal novero di quelli previsti dagli artt. 380 e 381 c.p.p.; 3) per eccesso di potere per mancata valutazione della pericolosità sociale del ricorrente, essendo stata omessa ogni valutazione in merito alla condotta tenuta dal sig. Mouhib durante gli anni della sua permanenza in Italia, nonché della sua stabile attività lavorativa e del suo inserimento sociale; 4) per eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria giacché l’amministrazione non solo non doveva applicare nessun automatismo, ma doveva tenere in considerazione gli elementi sopraggiunti concernenti la situazione personale e lavorativa del ricorrente, nonché l’eccezionalità delle ragioni di preoccupazione relativamente allo stato di salute della moglie e di una delle figlie che lo avevano indotto a mantenere un comportamento del tutto anomalo ed isolato.
L’amministrazione dell’Interno non si è costituita in giudizio.
Con ordinanza n. 84 del 31.1.2007 il Collegio ha rigettato la domanda cautelare, ritenendo applicabile alla fattispecie in esame l’automatismo di cui al combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, e 9, comma 3, del D.Lgs. n. 286/1998.
Con memoria del 31.10.2008 la difesa del ricorrente ha specificato che alla fattispecie in esame dovrebbe essere applicato il disposto dell’art. 9 del citato T.U., come novellato dal D. Lgs. n. 3/2007, pur essendo entrato in vigore successivamente al provvedimento reiettivo impugnato, poiché gli Stati membri avrebbero dovuto dare attuazione alla Direttiva 2003/109/CE relativa allo status dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo entro il 23.1.2006, cioè in epoca anteriore all’adozione del decreto gravato.
Alla pubblica udienza del 13 novembre 2008 il Collegio ha trattenuto la causa per la decisione.      
DIRITTO
Il ricorso è infondato e va respinto per le ragioni di seguito esposte.
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce la nullità del provvedimento gravato per vizio di forma, atteso che nella parte relativa ai rimedi amministrativi e giurisdizionali esperibili nei confronti del detto atto il sig. Mouhib viene informato che lo stesso può farsi assistere da un difensore di fiducia e che, in mancanza, verrà comunque assistito da un difensore di ufficio designato dal Giudice.
Il motivo è infondato e deve essere disatteso, poiché si tratta di un’indicazione ultronea rispetto ai rimedi esperibili in via amministrativa e giurisdizionale avverso il provvedimento del Questore che non ha in alcun modo leso il diritto di difesa del ricorrente e che, tutt’al più, avrebbe potuto incidere sulla eventuale rimessione in termini qualora il sig. Mouhib non avesse tempestivamente impugnato il decreto gravato.
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente  lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, 9 e 28 del D.Lgs. n. 286/1998  e degli artt.  6, 9, 12 e 16 del D.P.R. n. 394/1999.
Il decreto impugnato è stato emesso il 15.9.2006 e notificato al ricorrente il successivo 4.10.2006.
L’amministrazione ha applicato l’art. 9, comma 3, del D. Lgs. n. 286/1998 il quale, nel testo vigente al tempo dell’emanazione del provvedimento, prevedeva che “La carta di soggiorno è rilasciata sempre che nei confronti dello straniero non sia stato disposto il giudizio per taluno dei delitti di cui all’art. 380  nonché, limitatamente ai delitti non colposi, all’art. 381 del codice di procedura penale, o pronunciata sentenza di condanna, anche non definitiva, salvo che abbia ottenuto la riabilitazione. Successivamente al rilascio della carta di soggiorno il questore dispone la revoca, se è stata emessa sentenza di condanna, anche non definitiva, per reati di cui al presente comma. Qualora non debba essere disposta l’espulsione e ricorrano i requisiti previsti dalla legge, è rilasciato permesso di soggiorno. Contro il rifiuto del rilascio della carta di soggiorno e contro la revoca della stessa è ammesso ricorso al tribunale amministrativo regionale competente”.
Tale disposizione configura un potere del tutto vincolato dell’amministrazione che, in presenza di una sentenza di condanna per uno dei reati previsti dall’art. 380 c.p.p., è tenuta a revocare la carta di soggiorno già rilasciata.
Di conseguenza, nel caso concreto l’amministrazione, una volta preso atto che Mouhib El Moustapha era stato condannato per il reato di furto aggravato (compreso tra le fattispecie di cui all’art. 380 c.p.p.) dal Tribunale di Vicenza con sentenza divenuta irrevocabile dal 9.7.2005, era tenuta a revocare la carta di soggiorno, senza potere effettuare – come invece sostenuto dal ricorrente – delle valutazioni ulteriori concernenti la durata del soggiorno sul territorio, l’attività lavorativa dell’interessato, le conseguenze per l’interessato e per i suoi familiari, i vincoli con l’Italia o l’assenza di vincoli con il paese di origine.
Né d’altro canto risulta condivisibile la tesi del ricorrente secondo la quale avendo il giudice penale ritenuto in sentenza le circostanze attenuanti equivalenti alla circostanza aggravante contestata, il reato ascritto al sig. Mouhib sarebbe stato derubricato a furto semplice e, quindi, non si verterebbe più in una fattispecie di reato ricompresa tra quelle di cui all’art. 380 c.p.p.. In realtà il bilanciamento tra le circostanze aggravanti e le circostanze attenuanti, operato dal giudice penale quoad poenam, non incide sulla fattispecie di reato contestata al ricorrente, né il giudice penale ha riqualificato il fatto reato ascritto al sig. Mouhib, come si evince chiaramente dalla lettura del dispositivo che non richiama nessuna delle disposizioni del codice di rito che prevedono una simile evenienza (art. 521 e ss. c.p.p.).
Infine il Collegio non ritiene neanche condivisibile la tesi, peraltro articolata nella memoria del 31.10.2008, secondo la quale il decreto gravato sarebbe illegittimo per avere applicato l’art. 9 del D. Lgs. n. 286/1998 nel testo vigente prima dell’entrata in vigore del D. Lgs. n. 3/2007, attuativo della direttiva comunitaria 2003/109/CE del 25.11.2003.  In particolare, secondo al prospettazione del ricorrente, siccome la richiamata direttiva doveva essere recepita dagli Stati membri entro il 23.1.2006, l’inutile scadenza del detto termine avrebbe determinato l’immediata applicazione delle norme “incondizionate e sufficientemente precise” in essa contenute, con conseguente preclusione della revoca della carta di soggiorno in base alla mera esistenza di una condanna a carico del sig. Mouhib per uno dei reati previsti dall’art. 380 c.p.p..
Il Collegio, in tema di applicabilità dello ius superveniens, ritiene condivisibile l’orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo il quale il procedimento amministrativo è regolato dal principio tempus regit actum e ciò comporta che la legittimità di un provvedimento amministrativo vada valutata in relazione alle norme vigenti al tempo in cui lo stesso è stato adottato (cfr. Cons. Stato,V, 30.10.1997, n. 1209, T.A.R. Lazio Roma, III, 25.1.2007 n. 563; T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 21.12. 2004 n. 16971).
Occorre infatti premettere, al riguardo,  che l’art. 1 del D.Lgs. n. 3/2007, attuativo della direttiva 2003/109, ha recepito le disposizioni comunitarie sostituendo l’art. 9 del D. Lgs. n. 286/1998 e prevedendo, ai commi 10 e 11 di tale norma, che “Nei confronti del titolare del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, l’espulsione può essere disposta: a) per gravi motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato; b) nei casi di cui all’articolo 3, comma 1, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155; c) quando lo straniero appartiene ad una delle categorie indicate all’articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, ovvero all’articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, sempre che sia stata applicata, anche in via cautelare, una delle misure di cui all’articolo 14 della legge 19 marzo 1990, n. 55. Ai fini dell’adozione del provvedimento di espulsione di cui al comma 10, si tiene conto anche dell’età dell’interessato, della durata del soggiorno sul territorio nazionale, delle conseguenze dell’espulsione per l’interessato e i suoi familiari, dell’esistenza di legami familiari e sociali nel territorio nazionale e dell’assenza di tali vincoli con il Paese di origine”.
Ora, il Collegio non ritiene di potere accedere alla tesi dell’immediata applicabilità delle disposizioni della direttiva comunitaria nell’ordinamento interno una volta decorso il termine di recepimento.
A tal riguardo merita di essere rammentato che per giurisprudenza costante la diretta efficacia delle direttive comunitarie richiede il riscontro di alcuni presupposti sostanziali e precisamente: la prescrizione deve essere incondizionata (così da non lasciare margine di discrezionalità agli Stati membri nella loro attuazione) e sufficientemente precisa (nel senso che la fattispecie astratta ivi prevista ed il contenuto del precetto ad essa applicabile devono essere determinati con compiutezza, in tutti i loro elementi), ed inoltre lo Stato destinatario – nei cui confronti il singolo faccia valere tale prescrizione – deve risultare inadempiente per essere inutilmente decorso il termine previsto per dar attuazione alla direttiva. La ricognizione, in concreto, di tali presupposti costituisce l’esito di un’attività di interpretazione della direttiva comunitaria e delle sue singole disposizioni, che il giudice nazionale può effettuare direttamente ovvero rimettere alla Corte di giustizia ai sensi dell’art. 177, comma 2, del Trattato di Roma, facoltà quest’ultima che invece costituisce obbligo per il giudice nazionale di ultima istanza (art. 177, comma 3, cit.), sempre che – secondo quanto ritenuto dalla stessa giurisprudenza della Corte di giustizia (sent. 6 ottobre 1982, in causa 283/81) – il precetto della norma comunitaria non si imponga con tale evidenza da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio sulla sua esegesi (cfr. Corte costituzionale, 18.4.1991, n. 168; Cons. Stato, VI, 2.2.2001, n. 430; T.A.R. Emilia Romagna Parma, 21.11.2002, n. 846; Cass. Civ., I, 9.11. 2006, n. 23937).
Tanto premesso, occorre notare che l’art. 9 della direttiva 2003/109, disciplinante la “revoca o perdita dello status” di soggiornante di lungo periodo, non presenta i connotati propri di una norma self-executing. Tale disposizione, infatti, stabilisce, nei suoi primi tre commi, che “I soggiornanti di lungo periodo non hanno più diritto allo status di soggiornante di lungo periodo nei casi seguenti: a) constatazione dell’acquisizione fraudolenta dello status di soggiornante di lungo periodo; b) adozione di un provvedimento di allontanamento a norma dell’articolo 12; c) in caso di assenza dal territorio della Comunità per un periodo di dodici mesi consecutivi. In deroga al paragrafo 1, lettera c), gli Stati membri possono stabilire che le assenze superiori a dodici mesi consecutivi o quelle dovute a motivi specifici o straordinari non comportino la revoca o la perdita dello status. Gli Stati membri possono stabilire che il soggiornante di lungo periodo non abbia più diritto al suddetto status se costituisce una minaccia per l’ordine pubblico in considerazione della gravità dei reati dallo stesso perpetrati, ma non è motivo di allontanamento ai sensi dell’articolo 12”.
Dalla mera lettura della disposizione si evince, quindi, che è rimessa alle valutazioni discrezionali di ciascuno Stato membro la possibilità di prevedere la perdita dello status di soggiornante di lungo periodo per lo straniero che, a causa dei reati commessi, sia una minaccia per l’ordine pubblico. Ne consegue che, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, la revoca dello status di soggiornante di lungo periodo non è correlata solo alle ipotesi elencate nel comma 1 dell’art. 9 della direttiva, ma anche alla pericolosità che lo straniero rappresenta per l’ordine pubblico in ragione dei reati commessi e sulla base di valutazioni discrezionali rimesse ai singoli stati membri.
Sulla scorta delle predette argomentazioni devono, pertanto, essere disattesi i primi due motivi di ricorso
Con il terzo motivo e il quarto motivo di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, è dedotta l’illegittimità del provvedimento gravato per la mancata valutazione da parte dell’amministrazione della pericolosità sociale del ricorrente, nonché per eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria giacché nel caso di specie non doveva essere applicato nessun automatismo e dovevano essere tenuti in considerazione gli elementi sopraggiunti concernenti la situazione personale e lavorativa del ricorrente. 
Il ricorrente censura il provvedimento impugnato nella parte in cui ha rifiutato il rilascio del permesso di soggiorno, senza considerare la condotta di vita tenuta dallo stesso nel corso degli anni in cui è stato in Italia e della sua situazione di inserimento sociale, avendo egli esercitato il diritto al ricongiungimento familiare nei confronti della moglie, con la conseguenza che il rifiuto del permesso non poteva discendere automaticamente dall’esistenza di una sentenza di condanna, essendo necessario apprezzare la natura e la solidità dei vincoli familiari della persona e la durata del suo soggiorno nello Stato, nonché l’esistenza di legami familiari, culturali e sociali con il suo paese di origine.
I motivi sono infondati.
L’art. 4, comma 3, del D. Lgs. n. 286/1998 prevede che “Non è ammesso in Italia lo straniero che non soddisfi tali requisiti o che sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato…., anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall’articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’emigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite”, mentre il successivo art. 5 dispone che “Il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato”. Pertanto, anche in caso di ricongiungimento familiare, le norme citate, vigenti al tempo di emanazione del decreto questorile, vincolavano l’amministrazione a rifiutare il permesso di soggiorno allo straniero condannato, come nel caso di specie, per un reato compreso nell’art. 380 c.p.p., senza consentire l’effettuazione di valutazioni ulteriori, correlate alla condizione familiare e sociale dello straniero stesso. Ne deriva l’infondatezza dei motivi in esame poiché la Questura ha legittimamente applicato la normativa vigente al tempo di adozione del provvedimento impugnato, la quale rendeva doveroso il rifiuto del permesso in presenza di una sentenza di condanna per il reato di furto aggravato, compreso nell’art. 380 c.p.p..
Il ricorso deve, quindi, essere respinto.
Nulla va disposto in ordine alle spese in considerazione della mancata costituzione dell’amministrazione resistente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Terza Sezione, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in premessa, lo rigetta.
Nulla sulle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, in Camera di Consiglio, il 13 novembre 2008.
Il Presidente       L’Estensore

Il Segretario

SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il……………..…n.………
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Direttore della Terza Sezione

 

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