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TAR Veneto Sentenza 7 maggio 2008 Permesso per attesa occupazione al socio lavoratore

TAR Veneto Sentenza 7 maggio 2008 Permesso per attesa occupazione al socio lavoratore
TAR Veneto, Venezia, Sezione III, Sentenza 7 maggio 2008 Permesso per attesa occupazione al socio lavoratore
Ai sensi dell’art. 22, 11° comma, del D.Lgs. n. 286/1998 “…il lavoratore straniero in possesso del permesso di soggiorno per lavoro subordinato che perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, può essere iscritto nelle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso e, comunque, per un periodo non inferiore a sei mesi”.
Ne caso in specie, il ricorrente titolare di un permesso di soggiorno per lavoro autonomo, presentava istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per attesa occupazione. Il Questore di Verona rigettava l’istanza  in considerazione della mancanza del requisito della disponibilità di sufficienti mezzi di sussistenza e dell’inapplicabilità dell’art. 22, 11° comma, del D.Lgs. n. 286/1998 al permesso di soggiorno rilasciato “per lavoro autonomo”.
La Suprema Corte di Cassazione in molteplici pronunce, relative proprio a rapporti di lavoro con società cooperative, ha chiarito che l’attività del socio lavoratore è suscettibile di essere inquadrata sia come rapporto di lavoro subordinato che come rapporto di lavoro autonomo, a seconda delle modalità del suo svolgimento.
Inoltre, con disposizione di interpretazione autentica, lo stesso legislatore (art. 5 legge 3 aprile 2001, n. 142) ha supportato l’applicabilità estensiva dell’art. 2751-bis, n. 1, c.c. al trattamento economico del socio lavoratore di cooperativa di lavoro, sancendo anche sotto questo profilo l’equiparazione di tale credito a quello retributivo del lavoratore subordinato.
Sulla scorta delle predette argomentazioni, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Ric. n. 216/05       Sent. n. 1257/08
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Avviso di Deposito
del
a norma dell’art. 55
della   L.   27  aprile
1982 n. 186

Il Direttore di Sezione
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza sezione, con l’intervento dei signori magistrati:
Marco Buricelli  Presidente f.f.
Stefano Mielli             Referendario
Marina Perrelli             Referendario, relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 216/05, proposto da Zalmad My Driss, rappresentato e difeso dall’avv.to Giampaolo Cazzola e legalmente domiciliato presso la Segreteria del T.A.R., ai sensi dell’art. 35 R.D. 26.6.1924, n. 1054;
CONTRO
Il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria per legge in Venezia, p.zza San Marco n. 63;
PER
l’annullamento, previa  sospensione dell’efficacia, del provvedimento del Questore di Verona 3 marzo 2004 n. H90496, notificato in data 16.11.2004, di diniego di rinnovo di permesso di soggiorno, nonché di tutti gli atti antecedenti, preordinati, consequenziali e comunque connessi al relativo procedimento.
Visto il ricorso, notificato il 17 gennaio 2005 e depositato presso la Segreteria il 31 gennaio 2005, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione dell’Interno, depositato il 14 febbraio 2005;
Visti gli atti tutti di causa;
Vista l’ordinanza n. 126 del 16 febbraio 2005 con la quale è stata respinta l’istanza di sospensiva;  
Uditi nella pubblica udienza del 27 marzo 2008 – relatore il Referendario Marina Perrelli  – l’avv.to Crestoni in sostituzione di Cazzola  per la parte ricorrente e l’Avvocato dello Stato Salmini  per la P.A. resistente;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Il 19.11.2003 il ricorrente presentava alla Questura di Verona istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per attesa occupazione. Il successivo 16.11.2004 riceveva la notifica del decreto con il quale veniva rigettata l’istanza de qua in considerazione della mancanza del requisito della disponibilità di sufficienti mezzi di sussistenza (avendo lo straniero percepito redditi da lavoro pari ad euro 1.141,80 durante il periodo di validità del precedente permesso di soggiorno) e dell’inapplicabilità dell’art. 22, 11° comma, del D.Lgs. n. 286/1998 al permesso di soggiorno rilasciato  “per lavoro autonomo – operaio comune”.
Il ricorrente ha censurato il provvedimento impugnato sotto diversi profili:
1) Violazione di legge -. Falsa applicazione dell’art. 22 del D. Lgs. n. 286/1998 e dell’art. 37, 3° comma, del D.P.R. n. 349/1999, carenza di motivazione e di istruttoria;
2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 6, 5° comma, del D. Lgs. n. 286/1998, carenza di motivazione e di istruttoria.
Il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, costituitosi in giudizio, ha chiesto il rigetto del ricorso in considerazione, da un lato, della mancata dimostrazione del requisito della sufficiente capacità reddituale, richiesto dall’art. 4, 3° comma, del D.Lgs. n. 286/1998, e dall’altro, dell’inapplicabilità dell’art. 22, 11° comma, del citato decreto legislativo al lavoratore autonomo con conseguente impossibilità di iscrizione nelle liste di collocamento e di concessione di un permesso di soggiorno per attesa occupazione.
Con ordinanza 16 febbraio 2005, n. 126, il Collegio ha respinto l’istanza di sospensiva in considerazione della carenza di fumus quanto alle censure relative al requisito dell’assenza della capacità reddituale sufficiente.
All’udienza del 27 marzo 2008 il ricorso è stato introitato per la decisione.                      
DIRITTO
Il ricorso è fondato per quanto rilevato nel primo motivo.
Il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per attesa occupazione muove dall’assunto che lo straniero sia titolare di un permesso di soggiorno per lavoro autonomo e che al ricorrente non sia applicabile il disposto dell’art. 22, 11° comma, del D.Lgs. n. 286/1998 ai sensi del quale “…il lavoratore straniero in possesso del permesso di soggiorno per lavoro subordinato che perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, può essere iscritto nelle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso e, comunque, salvo che si tratti di permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per un periodo non inferiore a sei mesi”.
Secondo l’interpretazione seguita dall’Amministrazione e ribadita in sede di controdeduzioni, il permesso di soggiorno con la dicitura per “lavoro autonomo”, espressamente indicata nel titolo rilasciato l’8.11.2001, unitamente alla qualità di socio lavoratore di cooperativa risultante dalla documentazione prodotta per ottenere il detto titolo, sarebbero determinanti nel far ritenere il ricorrente un lavoratore autonomo con conseguente applicazione alla sua istanza di rinnovo del disposto dell’art. 26 del D.Lgs. n. 286/1998 e non di quello dell’art. 22, 11° comma, del medesimo decreto.
Il Collegio non ritiene condivisibile tale interpretazione.
A proposito dell’automatismo che, ad avviso dell’Amministrazione competente, esisterebbe tra la qualità di socio lavoratore di cooperativa e la qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo, deve essere evidenziato che la Suprema Corte di Cassazione in molteplici pronunce, relative proprio a rapporti di lavoro con società cooperative, ha chiarito che l’attività del socio lavoratore è suscettibile di essere inquadrata sia come rapporto di lavoro subordinato che come rapporto di lavoro autonomo, a seconda delle modalità del suo svolgimento (cfr. Cass. Sez. lav., 26.3.2008, n.7881; Cass. Sez. lav., 28.8.2004, n. 12750).
 La Corte di Cassazione ha, inoltre, specificato che requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato è il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dalla emanazione di ordini specifici, oltre che dall’esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative, mentre altri elementi – come l’osservanza di un orario, la continuità della prestazione e l’erogazione di un compenso continuativo – possono avere valore indicativo, ma mai determinante (cfr., fra le tante, Cass., 11 febbraio 2004 n. 2622; 10 maggio 2003 n. 7171; 21 novembre 2001 n. 14664; 3 aprile 2000 n. 4036; 11 novembre 1983 n. 6701).
Tanto premesso giova, allora, rammentare l’estensione, operata dal legislatore, ai soci delle cooperative di lavoro, di istituti e di discipline propri dei lavoratori subordinati attraverso le normative che assimilano il socio cooperatore al lavoratore dipendente, oltre che in materia di assicurazione contro l’invalidità e la vecchiaia (art. 2 r.d. 28 agosto 1924, n. 1422) e contro gli infortuni sul lavoro (artt. 4 n. 7 e 9 D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124), anche in materia di orario di lavoro (art. 2 r.d. 10 settembre 1923 n. 1955), di riposo domenicale e settimanale (art. 2 legge 22 febbraio 1934, n. 370), di assegni familiari (art. 1 D.P.R. 30 maggio 1955, n. 797) e di tutela della lavoratrici madri (art. 1 legge 30 dicembre 1971, n. 1204).
Successivamente l’art. 8 della legge 19 luglio 1993 n. 236 ha disposto l’equiparazione ai lavoratori dipendenti dei soci lavoratori in relazione alla procedura dell’intervento straordinario di integrazione salariale e a quella di mobilità, estendendo, quindi, ai soci delle cooperative di lavoro la disciplina dettata dagli artt. 1, 4 e 24 della legge 23 luglio 1991 n. 223 sui licenziamenti collettivi. La stessa norma, inoltre, ha disposto l’estensione ai soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro dei principi di non discriminazione, diretta ed indiretta, di cui alla legge 10 aprile 1991 n. 125.
Mette conto ricordare anche che, dopo la pronuncia della Corte Costituzionale n. 30/1996 – che aveva ritenuto infondata la questione di legittimità dell’art. 2,  1° comma, della legge 29 maggio 1982 n. 297, nella parte in cui non prevedeva per detti soci l’intervento del Fondo di garanzia costituito presso l’INPS ai fini del trattamento di fine rapporto in caso di insolvenza della società datrice di lavoro – l’intervento di detto Fondo è stato esteso ai soci delle cooperative ad opera dell’art. 24 della legge 24 giugno 1997, n. 196, ed agli stessi soci sono anche state estese le norme di cui agli artt. 1 e 2 del D. Lgs. 27 gennaio 1992 n. 80, quanto al pagamento dei crediti di lavoro (relativi agli ultimi tre mesi del rapporto) non soddisfatti a causa dell’insolvenza del datore di lavoro.
Inoltre, con disposizione di interpretazione autentica, lo stesso legislatore (art. 5 legge 3 aprile 2001, n. 142) ha supportato la (talora ritenuta) applicabilità estensiva dell’art. 2751-bis, n. 1, c.c. al trattamento economico del socio lavoratore di cooperativa di lavoro, sancendo anche sotto questo profilo l’equiparazione di tale credito a quello retributivo del lavoratore subordinato.
Pertanto, a fronte di questo omogeneo sviluppo normativo, la Suprema Corte (Cass., sez. un., 30 ottobre 1998, n. 10906) – nell’affermare che la controversia fra il socio e la cooperativa di produzione e lavoro, ancorché attinente a prestazioni lavorative comprese fra quelle svolte nell’esercizio dei fini istituzionali dell’ente e, dunque, rientranti nel rapporto «associativo», è devoluta al giudice del lavoro, in quanto il rapporto da cui trae origine è equiparabile a quelli previsti dall’art. 409 c.p.c. – ha ritenuto compiutamente realizzato il disegno legislativo diretto a comprendere il socio lavoratore in una “categoria contigua e interdipendente a quella del lavoro subordinato o parasubordinato”. Alla luce di quanto suesposto non appare, dunque, condivisibile l’automatica equiparazione operata dall’Amministrazione tra la qualifica di socio lavoratore e la natura di lavoro autonomo dell’attività svolta dal ricorrente. Né tale errata interpretazione è superabile sulla scorta della sola mancata presentazione di osservazioni o di istanze di modifica da parte del sig. Zalmad My Driss all’atto del rilascio del permesso di soggiorno “per lavoro autonomo” in data 8.11.2001.
Dalla lettura del predetto titolo, infatti, emerge anche la qualifica di “operaio comune”, qualifica che fa propendere per il rilascio del titolo legittimante la permanenza sul territorio nazionale sulla base di un rapporto di lavoro subordinato piuttosto che autonomo. Infatti proprio tenuto conto del disposto dell’art. 26, 2° comma, del D.Lgs. n. 286/1998 ai sensi del quale “in ogni caso lo straniero che intenda esercitare in Italia una attività industriale, professionale, artigianale o commerciale,…deve altresì dimostrare di disporre di risorse adeguate per l’esercizio dell’attività che intende intraprendere in Italia; di essere in possesso dei requisiti previsti dalla legge italiana per l’esercizio della singola attività…”, non sembra che nella fattispecie in esame ricorrano i presupposti fondanti un soggiorno per lavoro autonomo.
Sulla scorta delle predette argomentazioni il ricorso è meritevole di accoglimento con conseguente annullamento del provvedimento impugnato ed obbligo dell’Amministrazione di rideterminarsi sull’istanza presentata dal ricorrente tenendo conto delle considerazioni svolte dalla sezione con la presente pronuncia.
Non appare tuttavia inutile soggiungere che va disatteso il secondo motivo di ricorso, con il quale è stata dedotta la violazione dell’art. 6, 5° comma, del D.Lgs. n. 286/1998 per omessa motivazione in relazione alla fonte di sostentamento rappresentata dal fratello del ricorrente, titolare di regolare permesso di soggiorno e munito di stabile attività lavorativa.
L’Amministrazione resistente, a seguito di un’approfondita istruttoria, ha, infatti, legittimamente ritenuto che il fratello del ricorrente, munito di permesso di soggiorno con validità sino al 21.7.2004 e in possesso di un reddito annuo di euro 3.291,00 quale operaio comune presso una cooperativa, non potesse costituire per sé stesso e per il ricorrente una valida fonte di sostentamento tale da assicurare ad entrambi un’esistenza dignitosa.
Sussistono giustificati motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Terza Sezione, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in premessa, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Compensa le spese e competenze del giudizio fra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, in Camera di Consiglio, il 27 marzo 2008.
Il Presidente f. f.       L’Estensore

Il Segretario

SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il……………..…n.………
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Direttore della Terza Sezione

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