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Cittadinanza per tutti i figli dell’Italia

Un milione di bambini e ragazzi crescono in uno Stato che li considera stranieri e impedisce loro di sentirsi pienamente italiani. È un’emergenza da affrontare subito, per inaugurare finalmente una nuova stagione e risollevare il Paese

 

Roma – 15 novembre 2011 – Liberalizzazioni, contrattazione, regole su assunzioni e licenziamenti sono campi ai quali il nostro Paese, secondo la Banca Centrale Europea, dovrebbe dedicare interventi improcrastinabili per rilanciarsi. Ma c’è un’altra riforma da mettere immediatamente all’ordine del giorno per risollevare l’Italia dalla crisi civile, prima che economica, nella quale è piombata.

Un milione di figli di immigrati, il più delle volte nati qui, crescono in uno Stato che li considera stranieri e impedisce loro di sentirsi pienamente italiani. Vivono con i figli degli italiani, ne condividono passioni, delusioni e aspirazioni, ma sono schiavi del permesso di soggiorno, non possono andare in gita se lo stanno rinnovando, non vestono la maglia azzurra nelle competizioni sportive e guardano con angoscia a quando, maggiorenni, dovranno giustificare allo Stato la loro permanenza qui come se fossero immigrati.

Sono bambini e ragazzi italo-qualcosa, italiani che devono “chiedere permesso”, a metà, di serie B.Dovrebbero essere italiani e basta, come tutti gli altri. La pensa così quella parte maggioritaria del Paese dotata di buon senso prima ancora che di umanità, eppure la legge sulla cittadinanza è ancora la stessa approvata nel 1991, quando pochi avevano chiaro che milioni di uomini e donne sarebbero arrivati qui da tutto il mondo per reinventarsi una vita, ma anche per costruire un futuro italiano per i loro figli.

“Nei progetti di riforma della cittadinanza, la principale questione aperta rimane oggi quella dei bambini e dei ragazzi. Molti di loro – ha sottolineato il Capo dello Stato – non possono considerarsi formalmente nostri concittadini perché la normativa italiana non lo consente, ma lo sono nella vita quotidiana, nei sentimenti, nella percezione della propria identità”. “Senza questi ragazzi – ha ricordato Napolitano  – il nostro Paese sarebbe decisamente più vecchio e avrebbe minore capacità di sviluppo. Senza il loro contributo futuro alla nostra società e alla nostra economia, anche il fardello del debito pubblico sarebbe ancora più difficile da sostenere”.

Secondo il Presidente della Repubblica, “negare la cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri è un’autentica follia, un’assurdità”. E non si contano le dichiarazione di leader politici che la pensano allo stesso modo.

“E’ una vergogna che ci siano 50 mila bambini che ogni anno nascono o arrivano in Italia, che frequentano le nostre scuole, che si ritrovano poi a 18 anni senza sapere se sono italiani o sono immigrati: bisogna che noi diciamo loro che sono italiani” ha detto Pierluigi Bersani. “Lo ‘ius soli’ è certamente la scelta di prospettiva della società italiana: un bambino che nasce in Italia deve avere diritto alla cittadinanza italiana” sostiene Pierferdinando Casini. Per Gianfranco Fini, “la politica, se vuole adeguatamente assolvere al compito di preparare l’avvenire della Nazione, deve favorire la piena cittadinanza alla giovane generazione di nuovi italiani”.

Eppure, fino a oggi, le proposte per dare subito la cittadinanza alle seconde generazioni, almeno una quindicina solo nell’ultima legislatura, non hanno fatto strada in Parlamento. Non c’è riuscito nemmeno il  progetto di legge Sarubbi-Granata, una delle rare proposte trasversali di questi anni, firmata da esponenti di tutte le maggiori forze politiche di maggioranza e opposizione, Lega Nord scontatamente esclusa.

Dopo un confronto lunghissimo in commissione affari costituzionali, il testo unico per la riforma della cittadinanza portato in aula due anni fa a Montecitorio dalla relatrice Isabella Bertolini si rivelò figlio delle pressioni della Lega e delle anime più retrive del Pdl, tanto da mirare addirittura al difficile obiettivo di rendere le regole ancora più severe. Fu subito rispedito in Commissione, dove il dibattito, nel giro di qualche mese, si arenò definitivamente.

La Sarubbi-Granata proponeva invece di aprire allo “ius soli”, cioè al diritto di essere italiani se si nasce e si cresce in Italia, ma non in modo indiscriminato. Diceva che sono italiani quanti nascono qui da genitori stranieri regolarmente residenti da almeno cinque anni, ma potrebbe diventarlo anche bambini e ragazzi nati all’estero che completano nelle nostre scuole un ciclo di istruzione (elementari, medie o superiori) o di formazione professionale.

Sono regole concepite in un quadro preciso di immigrazione regolare, che danno importanza alla scuola nella formazione dei cittadini. Abbondantemente “moderate”, sono scritte in modo da non spaventare nessuno e da far apparire fantascientifico lo scenario propagandato dalla Lega, con una forte dose di malafede, secondo il quale l’Italia diventerebbe la terra promessa di frotte di clandestine al nono mese di gravidanza.

Ora che siamo a una svolta epocale, alla fine di un sistema politico paralizzato dai ricatti del voto xenofobo, chiediamo al governo e al Parlamento di cambiare subito la legge sulla cittadinanza, riconoscendo i diritti di tutti i figli dell’Italia. Perché quel milione di minori esclusi sono una delle nostre principali emergenze ed è tempo di inaugurare davvero una nuova stagione. Liberando, per il bene del Paese, anche l’energia di tanti giovani, finalmente e a pieno titolo italiani.

Stranieri in Italia

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