Mons. Marchetto: "Nessuno può essere trasferito, espulso o estradato verso uno Stato dove esiste il serio pericolo che la persona sarà condannata a morte o torturata" Città del Vaticano, 9 aprile 2010 – No ai respingimenti in pare degli immigrati verso La Libia, Paese dove vengono violati i diritti umani.
E’ quanto afferma l’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, nell’intervento che terra’ domani a Roma alla II Conferenza europea del Consiglio nazionale francese-scuola superiore dell’avvocatura.
Il testo e’ stato anticipato oggi alla stampa. Facendo riferimento ai respingimenti in mare verso Paesi come la Libia, l’arcivescovo afferma nuovamente che, secondo le varie convenzioni internazionali, ”nessuno puo’ essere trasferito, espulso o estradato verso uno Stato dove esiste il serio pericolo che la persona sara’ condannata a morte, torturata o sottoposta ad altre forme di punizione o trattamento degradante o disumano”. E ricorda la necessita’ di ”valutare la possibilita’ che vi fossero fra di loro rifugiati o persone in qualche modo vulnerabili”, visto che ”in Libia esistono centri di detenzione e di rimpatrio dove le condizioni variano da accettabili a disumane e degradanti”, dove ”e’ arduo monitorare il rispetto dei diritti umani, tenendo poi conto che tale Paese non ha aderito alla Convenzione di Ginevra del 1951, ne’ al Protocollo del 1967, e non riconosce l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati”.
L’arcivescovo Marchetto rileva una tendenza, tra i Paesi europei, ”di delocalizzare i controlli delle frontiere, incoraggiando i loro partner delle coste meridionale del Mare nostro, Mare dei diritti, ad effettuare controlli piu’ rigidi sui migranti, ma dando loro la possibilita’ di chiedervi asilo”. ”Ci sono pero’ serie questioni umanitarie connesse a tale tendenza – sottolinea – anche per la situazione concreta di vari Paesi”. Ad esempio ”le intercettazioni e i decentramenti operati dalle ‘autorita’ europee’ in molti casi rende impossibile a migliaia di persone di raggiungere la costa nord del Mediterraneo, o persino di lasciare il loro Paese di origine o di transito”.
Mons. Marchetto ricorda che ”il diritto a emigrare e’ incluso nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948” e non c’e’ nemmeno bisogno di ”ricorrere alla dottrina sociale della Chiesa, che pure e’ esplicita in materia”. ”Il fatto paradossale – dichiara – e’ che molti Paesi europei riconoscono come rifugiati persone che sono arrivati nel loro territorio per via non marittima, ma provenienti dagli stessi Paesi da cui giungono i migranti intercettati e respinti nel mare nostro, nel mare dei diritti”. L’arcivescovo conferma la sua posizione ”di condanna a chi non osserva il principio di non refoulement, che sta alla base del trattamento da farsi a quanti fuggono da persecuzione”.
Il segretario del Pontificio Consiglio si chiede ”se in tempo di pace non si riesce a far rispettare tale principio fondamentale del diritto internazionale umanitario, come si fara’ a richiederne l’osservanza in tempo di guerra?” Altro diritti del migrante violato, a suo avviso, e’ quello al ”giusto processo”, che comprende ”il diritto a difendersi, a essere ascoltato, a fare appello contro una decisione amministrativa, il diritto ad ottenere una decisione motivata, e quello di essere informati sui fatti su cui si basa la sentenza, il diritto ad una corte indipendente ed imparziale”.
”Le persone respinte – sottolinea – non hanno possibilita’ di esercitare questo diritto d’appello, non sono informate su dove e come esercitare questo diritto, e ancor piu’, non esiste per loro nemmeno un atto amministrativo che proibisca ad essi di proseguire nel loro viaggio di disperazione per raggiungere acque internazionali e che disponga il ritorno al luogo di partenza o ad un altro destino sulla costa africana”. Altri diritti violati, aggiunge, ”sono quelli all’integrita’ fisica, alla dignita’ umana e persino alla vita, e li possiamo qui solo elencare perche’ il tempo ci e’ tiranno”.