I loro governi temono che i neocomunitari abbiano un impatto negativo sul mercato del lavoro. Ma i dati della Commissione Europea dicono il contrario
Roma – 7 gennaio 2012 – Nove stati dell’Unione Europea, nonostante gli appelli della Commissione e dell’Europarlamento, hanno deciso di mantenere restrizioni all’accesso dei cittadini romeni e bulgari ai loro mercati del lavoro.
È la scelta fatta da Belgio, Germania, Irlanda, Francia, Lussemburgo, Malta, Olanda, Austria e Gran Bretagna, secondo una nota diffusa dalla Commissione Europea. Italia e Repubblica Ceca (che negli anni scorsi hanno imposto restrizioni), hanno invece comunicato a Bruxelles che dal primo gennaio di quest’anno applicheranno “integralmente la legislazione europea sulla libera circolazione dei lavoratori”.
Fino al 31 dicembre 2011, in Italia funzionava un doppio binario. Erano infatti liberalizzate le assunzioni nei settori a più alta richiesta di manodopera immigrata, per gli altri serviva un nulla osta (praticamente scontato) degli Sportelli Unici per l’Immigrazione. Caduta anche questa distinzione, dal primo gennaio scorso romeni e bulgari possono quindi essere assunti in Italia, in tutti i settori, come gli altri lavoratori italiani e comunitari.
Una relazione pubblicata lo scorso novembre dalla Commissione Europea sottolinea che l’impatto dei lavoratori neocomunitari sulle economie dei paesi ospitanti è stato complessivamente positivo. Ha infatti integrato il mix di abilità richiesto sul mercato del lavoro e colmato i posti di lavoro vacanti, senza abbassare i salari o aumentare la disoccupazione.
Anche sulla scia di questi dati, a metà dicembre il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione nella quale chiedeva ai governi dei Paesi membri di rinunciare alle restrizioni. “Non ci sono giustificazioni di tipo economico – spiega la risoluzione – per restringere il diritto fondamentale di poter vivere e lavorare in qualsiasi paese UE”.
La legislazione Ue consente agli stati membri di mantenere le restrizioni contro lavoratori romeni e bulgari fino al 2013 solo se c’è il rischio che l’arrivo dei neocomunitari provochi gravi distorsioni nei loro mercati del lavoro. I nove governi hanno giustificato così la loro scelta, che Bruxelles non ha il potere di modificare, anche se il commissario per l’occupazione László Andor ha annunciato che intende fare delle osservazioni su queste valutazioni.
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