Roma – 6 settembre 2011 – A dieci anni dall’attacco alle Torri Gemelle, resiste nell’opinione pubblica , anche se con meno vigore, l’equazione islam=terrorismo che si diffuse dopo l’11 settembre. Ne sono convinti alcuni esponenti dell’islam in Italia, intervistati oggi dall’Adnkronos.
“E’ passato un decennio dal quel tragico evento, la realta’ mondiale e’ cambiata profondamente, ma persistono gli effetti di quel terrorismo mediatico che colpi’ le comunita’ islamiche. Certamente non ha piu’ la forza di allora, ma ancora e’ percepibile” osserva l’ imam di Firenze Izzedin Elzir, palestinese, da circa un anno a capo dell’Unione delle comunita’ islamiche in Italia.
Elzir guarda con speranza alla “primavera araba”. “I sommovimenti in atto in vari Paesi del Nord Africa, – dice – potrebbero far capire come Islam e democrazia possano e anzi debbano convivere”.
Anche per il portavoce dell’Ucoii, Roberto Hamza Piccardo, ritiene che “il seme dell’islamofobia e’ stato piantato, innaffiato e concimato con tale cura che ha attecchito nella società e ora e’ difficile sradicarlo. Però, per restare nella metafora botanica, si può evitare di dare altra acqua alla pianta, in modo da farla seccare”.
Oggi, spiega Piccardo, “ai massimi sistemi questo teorema dell’Islam terrorista non serve più, ma il danno oramai e’ stato fatto e noi continuiamo a pagarne le conseguenze, quanto meno come immagine, per tacere dell’ostracismo di qualche sindaco leghista di cui non merita neanche parlare”.
La stessa valutazione viene fatta dal vicepresidente della Comunità religiosa islamica in Italia (Coreis), Sergio Yahya Pallavicini, membro del Comitato per l’Islam italiano istituito presso il Viminale. L’equivalenza forzata fra islamismo, fondamentalismo e terrorismo resiste, in modi diversi e con minore intensità rispetto al passato, ma resiste: inutile negarlo”.
Per Pallavicini, “lo si può notare sia all’interno che all’esterno del mondo musulmano. Un po’ per colpa nostra, per scarsa capacità di comunicare i valori autentici, le caratteristiche identitarie e l’apporto culturale dati in tutte le epoche dall’Islam. Un po’ a causa di un uditorio non sempre predisposto all’ascolto, spesso pervaso da un sentimento di diffidenza quando non da un atteggiamento di arroganza”.