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“Più controlli sui centri di accoglienza dei profughi”

Inchiesta a Palermo dopo la denuncia di un giovane ghanese. “Noi come Oliver Twist con la pelle nera”

 

Roma – 29 agosto 2011 – “Volevo fare il mediatore culturale ma è bastato poco per capire come funzionasse la storia qui in Italia”. Inizia con queste parole sconsolate e piene di amarezza il racconto di Joseph, un giovane ragazzo ghanese che vive a Palermo con un permesso di soggiorno per studio che nei giorni scorsi ha trovato il coraggio di denunciare la situazione “fatiscente” nella quale vivono molti ragazzi nelle strutture “adibite” all’accoglienza.

Joseph Amoako Dwomor, da tre anni in Sicilia,  ha trovato la forza per mettere in luce l’inferno nel quale viveva insieme ad  altri ventiquattro sui connazionali nella struttura di accoglienza “Tre Pini” che ospitava “tanti Oliver Twist con la pelle nera”.

Dalla denuncia di Joseph, riportata quest’oggi dalla Stampa,  è partita poi un’inchiesta che da Palermo ha messo in luce un sistema approssimativo con il quale si gestisce la delicata accoglienza degli immigrati che spesso ha come obbiettivo “risparmiare il più possibile” facendo vivere i giovani immigrati come nella celebre opera di Charles Dickens.

La storia di Joseph, secondo l’inchiesta, è solo la punta dell’iceberg di un giro di affari molto vasto che però non viene seguito e controllato in modo capillare. Per quel che riguarda la scelta dei centri di accoglienza, la decisione spetta alla Protezione Civile che individua e censisce i centri convenzionati, che in Italia sono circa mille.

Non tutti però sono gestiti da specialisti del settore, come comunità di accoglienza o strutture della rete Sprar. Molti centri sono infatti improvvisati come alberghi, ostelli o bed and breakfast che acquisiscono questo titolo grazie all’ordinanza del 20 giugno che praticamente apre questa convenzione a tutti: privati e pubblici.

Seguendo questo iter ai centri viene riconosciuto un corrispettivo di 40 euro al giorno per l’ospitalità degli immigrati maggiorenni e 67 per i minori. A questo finanziamento dovrebbe corrispondere però un servizio che prevede i tre pasti giornalieri, oltre all’assistenza sanitaria e la mediazione culturale alla quale il giovane Joseph voleva dedicarsi gratuitamente, visto che nella struttura nella quale si trovava nessuno si dedicava a questo importante compito, fondamentale per l’integrazione degli immigrati.

La denuncia del giovane ghanese evidenzia proprio queste mancanze da parte del centro Tre Pini che non avrebbe garantito “pasti congrui” ma anche la mancata fornitura di indumenti “alcuni ragazzi avevano ancora le scarpe sfondate di quando sono sbarcati” racconta Joseph, ma soprattutto l’inesistenza della mediazione culturale e del percorso di insegnamento della lingua italiana.

Senza però l’attività capillare di controllo sui centri di accoglienza, capita, come nel caso del giovane Joseph, che questi centri acquisiscano questi fondi senza offrire queste queste garanzie e che la denuncia di queste inefficienze spetti soltanto al coraggio di chi vive questo disagio.

“Non possiamo chiudere la struttura altrimenti toglieremo un tetto a questi ragazzi- spiega il commissario capo della polizia di Stato Gabriele Presti alla Stampa –  per questo motivo abbiamo avvertito la Protezione Civile in attesa di trovare una soluzione alternativa”.

Secondo la convenzione, infatti, in caso di gravi inadempienze si può rescindere il contratto con il centro privato ma per “scovare” questi centri serve una forte attività di controllo. Da questo obiettivo parte proprio il progetto “Praesidium” che attraverso il coordinamento di Oim, Croce Rossa italiana , Save the Children e Achnur che da cinque anni applicano un monitoraggio completo di queste attività in Sicilia, per garantire un’accoglienza migliore agli immigrati, nella speranza che questi controlli  si estendano anche su tutto il territorio in modo completo e costante.

M.I.

 

 

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