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Assegni familiari. Strasburgo condanna l’Italia: “Stranieri discriminati”

La Corte Europea per i Diritti dell’Uomo accoglie il ricorso presentato da un immigrato tunisino e dall'Inca. “Non c’erano ragioni valide per distinguere tra italiani e stranieri”

Roma – 17 aprile 2014 – Non riconoscere una prestazione assistenziale a un immigrato solo perché non è italiano è una discriminazione. Quindi è illegittimo.

È uno dei punti forti di una sentenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo che l’8 aprile, dopo tredici anni di battaglie legali, ha condannato l’Italia a pagare quasi ventimila euro a Bouraoui Dhahbi, immigrato di origine tunisina. Padre di quattro figli, in Italia si era visto negare in tre gradi di giudizio il diritto all’assegno per i nuclei familiari numerosi, ora gli dovranno essere pagati gli arretrati,con gli interessi e anche i danni morali.

Dallo scorso settembre gli immigrati titolari di un permesso Ce per lungo soggiornanti possono accedere all’assegno, ma la sentenza potrebbe aprire scenari ancora più favorevoli. “Afferma in modo inequivocabile che il solo mancato possesso del permesso di soggiorno per lungo soggiornanti non è un argomento sufficiente per negare ad un lavoratore extracomunitario le prestazioni di welfare” sostiene il patronato Inca, che insieme ai suoi legali di fiducia ha promosso il ricorso di Bouraoui Dhahbi.

La nazionalità del signor Dhahbi è stato l’unico criterio usato per escluderlo dall’assegno” spiega la Corte Europea per i diritti dell’Uomo in un comunicato. “Quindi, dal momento che solo considerazioni molto pesanti possono giustificare una differenza di trattamento basata solo sulla nazionalità e nonostante le ragioni di budget avanzate dal governo italiano le restrizioni poste contro il signor Dhahbi sono state sproporzionate”.

Nella sentenza si legge che la differenza tra italiani e stranieri nell’accesso alle prestazioni assistenziali “è discriminatoria se non si poggia su una giustificazione oggettiva e ragionevole” e che “le autorità (italiane ndr) non hanno dato motivazioni ragionevoli che potessero giustificare la esclusione da certi benefici di legge degli stranieri legalmente inseriti in Italia”. Le preoccupazioni per la tenuta dei conti pubblici sono legittime, ma non bastano a giustificare una discriminazione.

Inoltre, va considerato che “il lavoratore tunisino non era uno straniero soggiornante sul territorio per un breve periodo, o in violazione delle leggi sull'immigrazione”. E “non apparteneva nemmeno alle categorie di persone che non contribuiscono al finanziamento dei servizi pubblici, per i quali uno Stato può avere delle buone ragioni per impedire loro di accedere ai servizi sociali pubblici, quali sono i programmi di sicurezza sociale, di prestazioni pubbliche e di cura”.

Di qui la decisione di condannare lo Stato Italiano, che con  il suo comportamento verso Dhahbi ha violato principi ribaditi dalla Convenzione Europea dei diritti umani, come il diritto a un giusto processo, il divieto di discriminazioni e il rispetto della vita privata e familiare.

Secondo l’avvocato Vittorio Angiolini, che ha curato il ricorso, la sentenza “censura una discriminazione che colpisce la famiglia e i minori e non fa male solo a chi la subisce, ma anche alla società che la infligge o la tollera, coltivando nel proprio seno, con la disuguaglianza, il germe della divisione”.

“La decisione di Strasburgo conserva integro il valore di un’affermazione del principio di uguaglianza che difficilmente potrà essere ignorato dalle nostre istituzioni” sottolinea Claudio Piccinini, coordinatore degli uffici immigrazione dell’Inca. “Porta con sé la conseguenza che in materia di immigrazione lo Stato italiano non può mostrarsi reticente di fronte ad una domanda di tutela delle persone straniere che chiedono semplicemente più integrazione e maggiore coesione sociale; che sono i principi fondanti dell’Unione europea”.

Scarica la sentenza della Corte Europea per i Diritti dell'Uomo

EP

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