Roma, 17 giugno 2021 – A luglio prenderà vita il nuovo assegno unico per i figli: in realtà, non sarà altro che una manovra ponte che andrà poi, in un secondo momento, a essere definita nel suo totale. Cosa cambia? Nello specifico, il nuovo decreto è indirizzato essenzialmente a coloro che non percepiscono gli ANF, ovvero ai lavoratori autonomi e ai disoccupati senza trattamento NASPI. In tutto questo, però, l’esecutivo si è praticamente dimenticato degli stranieri, omettendo regole precise riguardo ai requisiti legati al permesso di soggiorno.
Assegno unico figli, il governo non ha pensato agli stranieri
Come sottolinea l’Associazione per gli studi giuridici sull’Immigrazione, il nuovo assegno unico per i figli presenta requisiti più restrittivi rispetto all’ANF “ordinario” che, invece, spettava a tutti i lavoratori, a tutti i pensionati e a tutti titolari di NASPI senza alcun requisito restrittivo. Quello decretato ora dal governo, invece, è riconosciuto ai cittadini italiani, UE ed extra UE titolari del permesso di soggiorno di lungo periodo. In alternativa, per questi ultimi è necessario essere titolari del “permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di ricerca di durata almeno semestrale”.
Queste parole sollevano una serie di quesiti: in primis, infatti, non viene indicato espressamente che si può trattare anche di un permesso per lavoro autonomo. Inoltre, non viene utilizzata la dizione “permesso unico lavoro” utilizzata dalla direttiva 2011/98 e dall’art. 22 TU immigrazione. Si richiede, invece, un permesso per lavoro (oppure per ricerca, cioè i permessi previsti dalla direttiva 2016/801 ma trattasi di numeri limitati).
Se dovesse essere interpretata alla lettera, quindi, il DL escluderebbe tutti i titolari di un permesso unico di lavoro rilasciato per ricongiungimento familiare o di un permesso per attesa occupazione. Persone che, però, avrebbero diritto alla parità di trattamento nell’accesso alle prestazioni familiari grazie all’art. 12 della direttiva stessa.
Un decreto contraddittorio
C’è da sottolineare, poi, che la Camera ha approvato il testo della Legge Europea volta ad adeguare l’ordinamento interno alla citata direttiva, e ha disposto la modifica dell’art. 41 TU immigrazione. Con essa si prevede che le prestazioni familiari spettino a tutti i titolari di un permesso di soggiorno che autorizzi il lavoro “per un periodo superiore ai 6 mesi”. Pare evidente quindi l’incongruenza con la direttiva, così come con la norma nazionale che il parlamento sta votando in queste settimane. Perché in questo modo uno straniero con permesso per famiglia anche biennale o con un permesso per attesa occupazione resterebbe escluso dall’assegno temporaneo, ma ne avrebbe diritto in base alla legge europea (e alla direttiva).
Come riportato dall’Asgi, poi, “il Dl, ricopiando le disposizioni della Legge delega, prevede il requisito della residenza in Italia da almeno due anni. A parte l’anomalia di richiedere un requisito che non è previsto per l’ANF “ordinario” (quantomeno fino a quando la legge delega non sarà attuata), trattasi nuovamente di requisito indirettamente discriminatorio in quanto finisce per incidere in misura proporzionalmente maggiore sugli stranieri rispetto agli italiani”. Inoltre, per computare come beneficiari i figli all’estero, la norma prevede che il richiedente debba essere residente da almeno due anni in Italia e i figli siano “a carico”. Non è specificato, quindi, se debbano essere residenti in Italia o meno. Un requisito che oggi, invece, non è richiesto agli ANF.
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FONTE NEWS: Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione. I contenuti di questa news sono rilasciati dall’Asgi sotto licenza Creative Commons 4.0 BY-NC-SA