In arrivo il film “Sta per piovere”, pellicola del giovane regista italo-iracheno, che racconta di una famiglia divisa dalla legge sull’immigrazione
Dubai, 24 ottobre 2012 – "Ma dove e' casa mia? In Italia, dove vivo da quando sono nato, o in quel Paese lontano che non conosco da dove vengono mamma e papa'?".
Said, nome esotico e accento toscano, e' nato a Firenze da madre e padre algerini. E' uno dei tanti italiani di 'seconda generazione' che vivono in un Paese che li ha cresciuti ma che non sempre li riconosce. La sua storia scorre nell'ultimo film, "Sta per piovere", di Haider Rashid, giovane regista italo-iracheno che, nonostante i suoi 29 anni, si e' gia' fatto conoscere dalla critica internazionale con due film, 'Tangled Up in Blue', vincitore al Festival di Dubai e all'I've Seen Films Festival di Milano nel 2012, e con il documentario musicale 'Silence: All roads lead to music", riuscito tentativo di 'integrazione con la musica', definito dalla rivista 'Variety' come un lavoro "splendidamente e magistralmente costruito".
Il regista Rashid e' lui stesso un ragazzo di seconda generazione, figlio del noto giornalista e scrittore iracheno Erfan, e di madre calabrese. E' "un immigrato da fuori e da dentro", come lui stesso si e' definito. Finito di girare in questi giorni a Dubai, il suo ultimo lavoro punta l'obiettivo sul tema 'caldo' degli immigrati in Italia. "Mi sono sempre chiesto 'dove e' casa mia?", ha raccontato all'AGI in un'intervista dagli Emirati.
"Dopo essere stato diversi anni a Londra sono tornato in Italia e mi sono reso conto che il panorama era completamente cambiato. Nel Paese c'erano molti piu' figli di immigrati, ragazzi di seconda generazione come me. Ho pero' scoperto un mondo di difficolta' incredibili, di gente nata e cresciuta nel Paese, che parla fiorentino, romano o siciliano, ma che non ha ancora la cittadinanza. "Una disconnessione" tra la realta' sul territorio e quella legislativa" ha spiegato Rashid: "La legge sull'immigrazione e' stata scritta nel 1992, poi ci sono stati tanti decreti e aggiustamenti, ma resta una legge antiquata" ha aggiunto.
Le immagini di Rashid ripercorrono la storia di Said, figlio di algerini, studente italiano di 26 anni e panettiere 'part-time' la cui vita cambia improvvisamente quando il padre, a seguito del suicidio del direttore della fabbrica in cui lavora da trent'anni, si ritrova disoccupato, non puo' piu' rinnovare il permesso di soggiorno ed e' costretto a tornare in Algeria. Un muro (lo stesso che il registra filma nelle scene iniziali, simbolicamente esplorato da una mano) si alza all'interno della famiglia italo-algerina: Said e il fratello possono restare nel Paese mentre i genitori sono costretti a rientrare in patria. Said inizia una battaglia mediatica e legale che lo portera' a scontrarsi con una burocrazia ottusa e insensibile, con pregiudizi, falsi moralismi e propaganda politica. Firenze, "non da cartolina ma quella vera" dice l'autore, diventa lo sfondo e l'emblema di un'Italia che non riesce a gestire il problema immigrazione. Said vincera' la sua battaglia legale ma, alla fine, decidera' di tornare in Algeria e di non continuare a vivere in un Paese in cui non si riconosce piu'.
Il regista racconta tutto questo con una visione lucida, a volte disillusa, realistica, mai pero' priva speranza: "L'Italia ha affermato – ha l'opportunita', rispetto ad altri Paese su cui e' in ritardo sulle leggi per l'immigrazione, di fare le cose in maniera diversa. Di evitare di creare dei ghetti che mantengano gli immigrati in un cerchio separato dalla societa'. Se la cosa verra' gestita bene da ora si puo' veramente avere un'integrazione forte, anche perche' – ha concluso – gli italiani sono un popolo di emigranti da piu' di cento anni e lo sono tuttora".