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Cittadinanza. Rete G2: “Che fine ha fatto la riforma per le seconde generazioni?”

"Delusi dal governo e dalle istituzioni". L'associazione dei figli di immigrati presenta il dossier G2 chiama Italia

Roma – 17 dicembre 2014 – Che fine ha fatto la riforma della cittadinanza? Se lo chiedono, soprattutto, un milione di “italiani col permesso di soggiorno”, figli di immigrati cresciuti in Italia ma considerati dalla legge stranieri.

Le promesse, per anni, si sono sprecate. Anche il premier Matteo Renzi si è speso più volte, a parole, per la causa. Però intanto la commissione affari costituzionali della Camera, che dovrebbe partorire un testo unificato, non tratta l'argomento da più di tre mesi. Eppure, la legge sulla cittadinanza risale al 1992, quando solo l'1% dei nuovi nati in Italia era figlio di immigrati. Oggi siamo al 15%, ottantamila bambini che ogni anno si vanno ad aggiungere a questa seconda generazione senza diritti.

“Che la legge sia vecchia e inadeguata lo denunciamo da anni. E’ stata promulgata immaginando un paese che non esisteva allora, figuriamoci oggi. Ci è stato promesso da più parti che il dibattito si sarebbe riaperto in tempi brevi, ma per ora è ancora tutto bloccato. Siamo delusi per questo atteggiamento del governo e delle istituzioni, perché quella che non appare ai politici una priorità invece lo è, e riguarda un milione di cittadini” dice  Mohamed Tailmoun, portavoce della Rete G2.

L'associazione di figli di immigrati, impegnata da anni per la riforma, ha presentato ieri il Dossier “Italiani 2.0 – G2 chiama Italia: cittadinanza, rispondi” , che con numeri e testimonianze denuncia l'arretratezza della legge attuale e l'urgenza di una riforma. Quindi ha ribadito le sue proposte: cittadinanza italiana subito per chi nasce qui e anche per chi arriva nei primi anni di vita.

E la frequenza scolastica? Le forze politiche sembrano convergere proprio sull'attribuzione della cittadinanza legata a uno o più cicli di studi. Secondo Rete G2 questo può essere un criterio, magari da applicare a chi arriva qui da piccolo, ma non l'unico. E comunque un riforma che renderebbe questi ragazzi italiani a 16 anni anziché 18 come ora, con uno sconto di appena due anni, sarebbe un finta riforma.

Come ha spiegato Tailmoun a Redattore Sociale, “non si può aspettare così a lungo per arrivare a una legge che sia poca cosa. Oggi ci delude che la riforma non sia sentita come priorità nel paese, un paese di anziani dal punto di vista demografico, dove c’è un soggetto sociale e giovane che in questo paese e vuole viverci e potrebbero costituire una vera risorsa”.

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