Il tribunale di Brescia boccia il sindaco di Trenzano (Brescia). Voleva imporre l’italiano nelle riunioni degli immigrati Roma – 2 febbraio 2010 – La lezione al centro islamico? In italiano. Idem per la festa dei romeni, l’ incontro dell’associazione dei senegalese o qualunque altra riunione organizzata dagli immigrati. E 500 euro di multa per chi si fa sfuggire una parolina nella lingua madre.
"Se non parlano la nostra lingua, come possono integrarsi?" si chiedeva lo scorso dicembre Andrea Bianchi, sindaco di Trenzano, mentre emanava un’"ordinanza per la disciplina delle riunioni pubbliche o in luoghi aperti al pubblico da parte di associazioni, comitati o enti che perseguano scopi culturali, religiosi o politici". Tra i punti più controversi, l’obbligo di avvisare il sindaco, che potrebbe vietare queste riunioni e, appunto, la regola che "tutte le riunioni devono essere tenute in lingua italiana".
Non c’è bisogno di troppa malizia per leggere tra le righe dell’ordinanza un tentativo per mettere un bastone tra le ruote al neonato centro culturale islamico. Tanto più che la stessa maggioranza di centro-destra guidata da Bianchi a dicembre aveva anche approvato una mozione che definiva moschee e centri islamici "nido di pericolosi terroristi" e prendeva atto dell’ "oggettivo rifiuto dei musulmani all’integrazione".
La crociata del primo cittadino di Trenzano si è però scontrata con le leggi dello Stato, che definiscono i poteri dei sindaci e, soprattutto, vietano ogni forma di discriminazione.
La prima bocciatura è arrivata dal Tribunale amministrativo regionale (Tar), che a metà gennaio ha parzialmente accolto il ricorso presentato contro l’ordinanza dall’associazione di immigrati "Integrazione culturale". Secondo il Tar, Bianchi non aveva titolo per disciplinare le riunioni in luogo pubblico o aperte al pubblico e "ha illegittimamente provveduto in materia di esclusiva competenza e spettanza del prefetto".
Ancora più significativa, perchè demolisce il punto forte dell’ordinanza, è però l’ordinanza emessa ieri dal tribunale ordinario di Brescia, che ha accolto l’azione antidiscriminazione avviata da Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi), Cgil, fondazione Guido Puccini per i diritti dell’uomo e, ancora, Associazione Integrazione Culturale.
"Il libero uso della propria lingua di origine deve essere ricondotto al nucleo fondamentale dei diritti dell’individuo, connotandone fortemente la personalità e permettendogli la piena libertà di espressione e di comunicazione" scrive il giudice Alessia Busato.
"Imporre a una persona l’uso di una lingua diversa da quella nazionale,- continua il magistrato – se non giustificato da un solido rispetto del principio di ragionevolezza (sotteso, ad esempio, all’esigenza che l’uso della lingua italiana sia garantito in atti pubblici o nell’esercizio di pubbliche funzioni) neppure delineato nel provvedimento de quo, costituisce illegittima disparità di trattamento che rientra nella nozione di discriminazione vietata nel nostro ordinamento".
Elvio Pasca