L’Italia può rifiutare il diritto di soggiorno ai comunitari privi di mezzi di sostentamento, ma deve rispettare regole precise
Bruxelles – 24 giugno 2008 – Un paese membro dell’Ue può rifiutare il diritto di soggiorno sul suo territorio a cittadini comunitari stranieri che manchino di mezzi di sostentamento, ma ci sono precise garanzie procedurali che devono essere rispettate all’atto dell’allontanamento: come una notifica preventiva, almeno un mese prima dell’esecuzione del provvedimento, con l’indicazione dei suoi motivi, nonché l’indicazione dell’organo giurisdizionale o amministrativo presso cui può essere presentato ricorso e il termine entro cui presentarlo.
Lo ha puntualizzato il commissario Ue alla Giustizia, libertà e sicurezza, Jacques Barrot, rispondendo a un’interrogazione presentata dall’europarlamentare radicale Marco Cappato sullo sgombero di due baraccopoli alla periferia di Milano, avvenuto nel mese di aprile, e sul ventilato rimpatrio degli sfollati, le cui modalità sarebbero attualmente allo studio delle autorità locali.
Il provvedimento, scriveva Cappato nell’interrogazione, sarebbe stato eseguito "senza alcun preavviso, assistenza, presidio medico, o la proposta di soluzioni alternative", facendo sì che gli oltre cento abitanti delle baracche (rom e rumeni, tra cui neonati, anziani e malati) si ritrovassero senza dimora.
L’eurodeputato radicale aveva chiesto alla Commissione se non ritenesse l’episodio in contrasto con le risoluzioni del Parlamento europeo in materia di diritti umani e libera circolazione dei rom; se le modalità dello sgombero, soprattutto in mancanza di soluzioni abitative alternative, non costituissero una violazione dei diritti della quasi totalità degli sfollati, in quanto cittadini comunitari; e, infine, se il rimpatrio di cittadini Ue non violasse la direttiva 2004/38/Ce sulla libera circolazione.
Barrot ha replicato, con una risposta scritta datata 20 giugno, ma pubblicata solo ieri, ricordando che proprio la direttiva 2004/38/Ce "autorizza gli Stati membri a rifiutare il diritto di soggiorno a cittadini dell’Ue che non rispettino le condizioni per ottenere tale diritto, ossia essere lavoratore subordinato o autonomo e disporre, per se stessi e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti per non divenire un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante, nonché di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi. Il diritto di soggiorno – ha ricordato il commissario – può essere limitato anche per ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica".
Barrot precisa anche che "in virtù della direttiva, i cittadini dell’Unione e i loro familiari beneficiano inoltre di garanzie procedurali. Se viene negato l’ingresso o in caso di allontanamento, il provvedimento dev’essere notificato all’interessato per iscritto, secondo modalità che gli consentano di comprenderne il contenuto e le conseguenze. Il provvedimento deve spiegare in modo circostanziato e completo i motivi su cui si fonda, nonché indicare l’organo giurisdizionale o l’autorità amministrativa presso cui può essere presentato ricorso e il termine entro il quale l’interessato deve agire”.
“I cittadini – insiste il commissario – devono avere accesso ai mezzi di ricorso giurisdizionale. Fatti salvi i casi di urgenza debitamente comprovata, il termine impartito per lasciare il territorio dello Stato membro non può essere inferiore a un mese a decorrere dalla data di notificazione. E – sottolinea Barrot – se un cittadino dell’Ue ritiene che il provvedimento di allontanamento preso nei suoi confronti non sia conforme alla legislazione comunitaria, può presentare ricorso dinanzi ai giudici nazionali".